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Paesaggio e desertificazione: la geografia del rischio in Italia

di Luca Salvati • Un tema centrale della valutazione ambientale strategica a scala nazionale ed Europea, affrontato con le nuove tecnologie informatiche per un monitoraggio permanente

 

•• Quella della desertificazione rappresenta oggi una delle questioni ambientali più importanti che le nostre società sono chiamate ad affrontare, per le gravi conseguenze che essa pone alla salute umana e dell’ambiente. Se, da un lato, il tema è stato spesso al centro dell’attenzione dei media, dei decision makers e dell’opinione pubblica, dall’altro, si deve notare il carattere tendenzialmente ciclico di tale interesse, corrispondente, nelle sue fasi di picco, allo scoppiare di situazioni emergenziali legate ad episodi prolungati di siccità e alla scarsità idrica, fenomeni peraltro facilmente (ma talvolta erroneamente) associati al tema dei cambiamenti climatici.

Tale interesse ha fatto concentrare l’attenzione del grande pubblico verso la relazione desertificazione-clima (e più in generale verso i fattori bio-fisici alla base della desertificazione), trascurando, invece, l’importante ruolo giocato dai fattori sociali, economici, culturali, politici ed istituzionali. Tale ruolo, messo alla ribalta dalle dinamiche ambientali più recenti, necessita di approcci dedicati dal punto di vista scientifico e di una divulgazione più consapevole e meno sensazionalistica. D’altronde, il problema della desertificazione richiede un’attenzione continua e sistematica attraverso il monitoraggio permanente di un fenomeno che condiziona fortemente la qualità della vita delle persone e la stabilità degli equilibri ecosistemici e che, pertanto, per essere fronteggiato efficacemente, necessita dello sviluppo di calibrate strategie di intervento di medio e lungo periodo. I paesaggi a rischio di desertificazione sono abbastanza diffusi sul territorio nazionale e appaiono caratterizzati da specifiche forme, legate all’aridità climatica, ai suoli poveri e degradati, alla vegetazione rada, all’orografia accidentata a sua volta legata al rischio di erosione idrica (figura 1).

 

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Figura 1. Esempi di paesaggi soggetti a rischio di desertificazione in Italia

 

Questo contributo illustra in dettaglio un sistema di monitoraggio permanente del rischio di desertificazione in Italia con forte dettaglio spaziale. L’analisi, che abbraccia un orizzonte temporale particolarmente ampio – dal 1960 al 2010 – consente di individuare le tendenze, passate e in atto, dei principali fattori alla base del rischio di desertificazione e l’impatto dei gradienti geografici più significativi nell’influenzare la distribuzione spaziale del livello di vulnerabilità a scala regionale e nazionale, come contributo per più efficaci azioni di mitigazione a tutte le scale di governance territoriale.

Un indice sintetico di rischio

Questo studio si è avvalso di uno schema logico-concettuale delle principali dimensioni del fenomeno, in base alle cause (naturali ed antropiche) dei processi di degrado delle terre individuati dalla letteratura scientifica. Lo schema, ispirato alla filosofia DPSIR (Driving forces, Pressures, State, Impacts, Responses) sviluppata dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, riportati concetti operativizzabili tramite indicatori elementari (figura 2). Un ottimo riferimento metodologico è anche costituito dalla convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), ratificata dall’Italia nel 1997, che ha stabilito il quadro entro il quale vengono realizzate una serie di iniziative di monitoraggio a livello sovra-nazionale, nazionale e locale. Ad opera del suo «Committee on Science and Technology», ha lavorato sulla definizione di benchmarks e indicatori. A livello nazionale tale convenzione ha trovato applicazione nell’ambito del Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione (CNLD). Il quadro di riferimento è stato sintetizzato nella «Comunicazione Nazionale per la lotta alla Siccità e alla Desertificazione» del 1999. In questo lavoro, per l’individuazione delle aree a rischio sul territorio nazionale sono stati considerati i fattori climatici (tramite l’indice di aridità e la precipitazione), pedologici (tramite le caratteristiche strutturali dei suoli Italiani), vegetazionali (mediante cartografie di uso e copertura del suolo) e di pressione antropica (mediante cartografie di distribuzione e densità della popolazione e variazione demografica). Sulla base dell’analisi effettuata il territorio nazionale è stato classificato in aree poco, mediamente o molto predisposte ai processi di desertificazione mediante un indice sintetico di rischio, ottenuto tramite composizione delle differenti variabili che hanno descritto i quattro temi considerati. L’indice assume valori discreti compresi tra 1 e 2: valori più elevati indicano un rischio maggiore. La cartografia è stata aggiornata su base decennale attraverso l’utilizzo di fonti dati comparabili e cartografie a forte dettaglio spaziale fino al 2010.

 

Grafico
Figura 2. Un modello concettuale per la stima del rischio ambientale

Il rischio di desertificazione in Italia

GraficoL’andamento dell’indice di rischio a livello nazionale mostra una tendenza positiva con una crescita delle aree potenzialmente soggette ai fenomeni di desertificazione (figura 3). Tale crescita, tuttavia, appare in modo eterogeneo durante gli ultimi cinquanta anni. La variazione media osservata è pari allo 0,03% per anno. La proiezione proposta per il 2020, basata su scenari di cambiamento climatico, mostra un ulteriore lieve aumento dell’indice dovuto al progressivo inaridimento del clima legato sia all’incremento della temperatura media annua sia alla riduzione, più localizzata, delle precipitazioni o alla loro concentrazione in determinati periodi dell’anno.

La graduatoria delle regioni a rischio

Regione Variazione ESAI (posizione)
1960 1990 2010
Sicilia (1) (2) (1)
Puglia (2) (1) (2)
Basilicata (3) (4) (5)
Sardegna (4) (5) (4)
Molise (5) (3) (6)
Emilia Romagna (6) (6) (3)
Abruzzo (7) (9) (15)
Lazio (8) (10) (12)
Campania (9) (8) (11)
Marche (10) (7) (8)
Tabella 1. Graduatoria delle 10 regioni Italiane soggette a maggiore rischio di desertificazione negli anni 1960, 1990, 2010 (il rango è espresso in funzione dell’ordine osservato nel 1960)

Nella tabella 1 viene riportata a graduatoria delle regioni Italiane più a rischio, secondo l’indice sintetico calcolato in questo lavoro, in tre anni scelti. La graduatoria assume particolare interesse visto il ruolo operativo conferito alle regioni dal Piano d’Azione Nazionale contro la Siccità e la Desertificazione approvato in Italia da più di dieci anni. La graduatoria delle regioni più vulnerabili è rimasta sostanzialmente stabile in Italia. Sicilia e Puglia sono le regioni più critiche in tutti gli anni considerati. A partire dalla terza posizione in tabella, si nota che negli ultimi cinquanta anni, la graduatoria delle regioni classificate secondo l’indicatore sintetico è cambiata lentamente. Il terzo posto, che nel 1960 era occupato dalla Basilicata (nel 2010 tale regione è scesa in quinta posizione), è stato ceduto all’Emilia Romagna che nel 1960 occupava la sesta posizione. In generale, dalla tabella si evince che le regioni dell’Italia settentrionale risultano nel tempo più a rischio, mostrando incrementi più elevati dell’indicatore sintetico rispetto a quelli osservati nelle regioni meridionali.

I territori del rischio

Passando ad un’analisi territoriale più disaggregata, le mappe presentate nella figura 4 illustrano la distribuzione spaziale dell’indice sintetico in Italia lungo tutto il periodo considerato. La scala di colori evidenzia una progressiva vulnerabilità rappresentata dalle tonalità arancio e rosso. Si osserva, a partire dal 1960, un incremento abbastanza generalizzato dei punteggi di rischio, dapprima nelle regioni meridionali e successivamente in quelle centro-settentrionali. La costa Adriatica è forse il caso più evidente di incremento, continuo nel tempo ed omogeneo nello spazio. Negli ultimi anni, è invece la pianura Padana a mostrare valori in progressivo incremento. Dopo una crescita piuttosto evidente nei primi anni, il sud Italia tende a stabilizzarsi e, in particolari ambiti, a regredire rispetto al livello di vulnerabilità osservato nel 1960. Le aree montane, soprattutto Alpi orientali e Appennino centro-settentrionale, mostrano livelli di vulnerabilità trascurabili e sostanzialmente stabili nel tempo.

Italia 1 Italia 2
Italia 3 Italia 4
Italia 5 Italia 6

Figura 4. L’indice di rischio alla desertificazione in Italia dal 1960 al 2010

 

Dividendo il periodo di analisi in due sotto periodi (1960-1990 e 1990-2010) si nota in particolare, come il livello di rischio aumenti in modo omogeneo nel primo trentennio soprattutto in aree localizzate del sud Italia in Puglia, nella Sicilia meridionale, nel Crotonese e nella pianura del Campidano, come pure intorno a Roma e nella Maremma tosco-laziale. La pianura Padana appare pure in crescita. Nella maggior parte dei casi, si tratta di aree classificate come vulnerabili già nel 1960 e che sperimentano, nel trentennio successivo, un ulteriore, forte consolidamento nei livelli di vulnerabilità, che le caratterizza dunque come aree soggette ai fenomeni di degrado delle terre. Queste aree vengono già menzionate come prioritarie nella strategia di contrasto alla desertificazione presentata nel Piano di Azione Nazionale di contrasto alla Desertificazione.

Nei venti anni successivi, l’incremento dell’indice sintetico assume una distribuzione spaziale completamente diversa, e ciò può essere, almeno in parte, ricollegato al differente contesto socio-economico rispetto a quello osservato nei decenni precedenti. Mentre l’indice sintetico tende a stabilizzarsi al sud (con limitate eccezioni nella Calabria meridionale, nella provincia di Messina ed in alcuni ambiti della Sardegna, oltre che nel peri-urbano di Roma), si osserva una crescita rilevante nel nord Italia, sebbene distribuita «a macchia di leopardo». Tale crescita investe ambiti eterogenei, generalmente a vocazione rurale, in pianura Padana (anche se è difficile intravedere una andamento comune a tutta la regione), come pure le valli alpine e, in modo ancora più evidente, il bacino dell’Arno e la zona del lago Trasimeno in Umbria.

Spicca anche l’incremento sostenuto osservato nelle aree peri-urbane intorno a Milano e Torino, come pure il decremento, più o meno evidente, rilevato nella Sicilia meridionale, sulla Sila, in Puglia e lungo la dorsale Adriatica, soprattutto nelle aree collinari interne. Più in generale, si può affermare come in questo periodo siano le aree meno vulnerabili a crescere nell’indice sintetico, mentre le aree ad elevata vulnerabilità mostrano incrementi limitati o, in taluni casi, tendono a migliorare le loro condizioni ambientali predisponenti.

Il futuro

Nella figura 5 vengono illustrate le tendenze a scala nazionale dell’indice sintetico al 2020 in riferimento ad uno scenario legato ad ipotesi di cambiamento climatico e di aumento della pressione antropica. Tali scenari climatici sono stati proposti recentemente, sulla base di modelli stocastici e si riferiscono a condizioni di moderato, progressivo riscaldamento. Tali scenari appaiano estremamente prudenziali rispetto al cambiamento climatico e operano su scale molto aggregate e, pertanto, potrebbero indicare solo tendenze incipienti, ma che vanno a consolidarsi nel tempo aggravando ulteriormente il livello di vulnerabilità nell’arco di pochi anni.

Italia 7Nel prossimo decennio, l’incremento maggiore dell’indice si osserverebbe in modo abbastanza omogeneo nelle regioni centrali e meridionali (con eccezione delle isole maggiori, in qualche modo differenziandosi dalla tendenza generale osservata negli ultimi venti anni. Più in generale, si osserva un peggioramento diffuso delle condizioni ambientali legate al degrado delle terre suggerendo come questo processo ambientale sia particolarmente attuale nel nostro paese e indicando l’utilità di strategie di mitigazione in grado di cogliere la specificità dei territori, anche nelle loro traiettorie di cambiamento nel tempo.

L’importanza del monitoraggio

Considerare il territorio come sistema sinergico dove differenti aspetti produttivi, istituzionali e di contesto agiscono sulle condizioni ambientali, può portare un contributo significativo all’informazione geografica sui fenomeni di degrado ambientale, indicando anche, attraverso un approccio multi-temporale, possibili trend nei processi di degrado del territorio, dal momento che i fattori predisponesti agiscono su scale temporali generalmente differenti: ad esempio, la pressione antropica agisce in genere più rapidamente dei cambiamenti nel clima, nella composizione dei suoli e nelle caratteristiche della vegetazione e del paesaggio. Fornire informazioni spaziali sulla velocità dei processi di degrado e sulle cause di origine antropica rappresenta, quindi, una sfida scientifica e culturale ma anche strumento effettivo a livello politico, per indirizzare con più efficacia gli interventi di mitigazione nei territori vulnerabili e, soprattutto, in quelli che, seppure non vulnerabili oggi, appaiono potenzialmente sensibili al fenomeno nel breve e medio termine a seguito dei cambiamenti climatici, della crisi economica e del social change.

 

 

Luca Salvati
Ricercatore, Consiglio per la Ricerca
e la sperimentazione in Agricoltura, Roma