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La biodiversità precondizione per la vita dell’uomo

«Eurobarometro» sondaggio sulla Biodiversità. Domanda 5: “Quanto è grave il declino e la possibile estinzione di specie animali, flora e fauna, degli habitat naturali e degli ecosistemi nel tuo Paese? E quanto grave è il problema in Europa? Infine, quanto grave è il problema a livello globale?” [Base del campione: tutti gli intervistati, % per nazione]

di Antonino Morabito • La sfida delle Aree protette: laboratori per innovare, tramite l’incremento delle conoscenze sulla biodiversità ed una effettiva partecipazione, le mille relazioni dell’uomo con la vita sul Pianeta

 

 

Lo Speciale della rivista «Eurobarometro » dedicata a «Gli atteggiamenti degli europei verso le tematiche della biodiversità » ha posto in evidenza come, in Italia, vi sia nei cittadini una netta differenza tra un’alta percezione della serietà del problema relativo alla perdita di biodiversità (grafico 1) e le scarse conoscenze che consentano ai più di mettere in relazione azioni e conseguenze, partecipazione contro disinteresse (grafico 2). L’attuale scarsa conoscenza che la biodiversità è tra i principali beni comuni dell’umanità è certamente tra le cause prime del conseguente fallimento degli obiettivi che la comunità internazionale si era posta per frenare la perdita di biodiversità entro il 2010. Dalla ricchezza in diversità di forme di vita dipendono alcuni tra i più importanti beni e servizi senza i quali l’uomo non avrebbe futuro sulla Terra. Basti citare solo alcuni esempi come la depurazione di aria e acqua, la fertilità dei suoli e l’incameramento di CO2 delle foreste, il cibo e le medicine per rendersi conto con immediatezza delle concretezza di quanto asserito. Oltre a questi aspetti non può e non deve essere tralasciato il «semplice» godere della biodiversità presente in natura, per i motivi più disparati, siano essi di ordine religioso, filosofico, estetico, che è parte fondamentale della qualità della vita di ciascuno di noi, anche se tale aspetto nelle società dei Paesi maggiormente industrializzati è stato, perlomeno nell’ultimo secolo, inopportunamente sottovalutato. A dispetto di tali evidenze il fallimento degli obiettivi del Countdown 2010 ha confermato un fallimento delle politiche messe finora in atto e di questa temporanea sconfitta le Aree protette sono corresponsabili, forse ancor più di altre pubbliche amministrazioni in quanto prioritariamente istituite per vincere tale fondamentale mission collettiva.

 

 

«Eurobarometro» sondaggio sulla Biodiversità. Domanda 3: “Quanto ti senti informato circa la perdita di biodiversità?” [Base del campione: tutti gli intervistati, % per nazione]

Quale obiettivo per le Aree protette?

Tanto semplice quanto difficile: capovolgere la situazione attuale, nella quale la perdita di biodiversità continua rapidamente a crescere mentre la capacità di costruire politiche efficaci trova enormi ostacoli, tra cui emerge la difficoltà di far maturare una piena, consapevole, convinta e diffusa partecipazione dei cittadini. È urgente, quindi, che le Aree protette acquistino maggiore autorevolezza, divenendo i luoghi di eccellenza italiani per le conoscenze sul valore della biodiversità ed offrendo, nel contempo, piena dimora al paradigma della «gestione adattativa partecipata»: questo è un percorso, forse obbligato, per dare concretezza al ruolo delle Aree protette come modello integrato di sviluppo e per svolgere appieno una vera funzione nell’attuazione della Strategia Nazionale per la Biodiversità, delle Direttive Europee e delle Convenzioni internazionali. Tale obiettivo pone l’esigenza di implementare rapidamente e significativamente le conoscenze tecnico-scientifiche sulla biodiversità tramite l’attivazione di concrete azioni di conservazione, mirate ad obiettivi specifici, realistici e misurabili, nel solco di una gestione adattativa partecipata, che a sua volta impone l’applicazione del monitoraggio come strumento di valutazione dell’efficacia delle misure condivise adottate. In questo percorso gli Enti gestori delle Aree protette non saranno mai autosufficienti, dovranno perciò attrezzarsi per saper offrire ad Enti ed Organismi di ricerca un quadro generale chiaro e trasparente ed un’interfaccia competente per un loro proficuo coinvolgimento, per facilitare l’attivazione di molteplici campagne di ricerca sulla biodiversità nelle Aree protette, consentendo di porsi il duplice obiettivo di lavorare per la biodiversità incrementando la consapevolezza del valore della stessa per ogni singolo cittadino. A tal fine, inoltre, risulta essenziale innovare le modalità di operare degli Enti di gestione delle Aree protette per costruire un’effettiva partecipazione dei cittadini, sia nelle forme collettivamente organizzate che singolarmente, alla vita delle Aree protette, potendo i cittadini divenire, in questo percorso, coprotagonisti per numerosi aspetti: «Co-decisori» – dall’allocazione interna delle risorse alla definizione di priorità: la definizione dei servizi prioritari per i fruitori, latu sensu (residenti, turisti, ecc.), del grande patrimonio naturale cuore della mission delle Aree protette; «Co-operanti» – da fruitori passivi a cittadini attivi: residenti e non solo, opportunamente formati, che aiutino l’Area protetta nella raccolta delle informazioni per le diverse componenti della biodiversità e nel controllo del rispetto delle regole (divieti, prescrizioni, ecc.) a tutela della natura; «Co-valutatori» – da oggetti di indagine a monitori attivi: cittadini come co-ispettori del personale dell’Area protetta nel percorso di valutazione della performance della stessa nel mantenere e/o ripristinare le condizioni essenziali per i diversi beni e servizi ecosistemici che la biodiversità in essa presente può garantire.

Molte le criticità da superare

Il contributo alla costruzione del benessere dell’uomo correttamente richiesto dalla società anche agli Enti gestori delle Aree protette viene spesso erroneamente inteso solo come ulteriore e dovuto tentativo, da parte di enti tutto sommato «piccoli» quindi con poca possibilità di essere incisivi in termini meramente monetari, nell’alleviare le ferite lasciate sul territorio e nelle comunità da una economia capitalistica post-industriale che sono ancor più evidenti in aree naturalisticamente «ricche» ma che da un punto di vista socio-economico sono da molto tempo marginali. Sarebbe, invece, molto più corretto se tale giusta aspettativa della società verso le Aree protette fosse vissuta come l’ambizioso obiettivo, che si può definire «rivoluzionario » nell’accezione più positiva del termine, di un grande impegno in termini di risorse umane ed economiche per tutelare la biodiversità anche al fine di assicurare la funzionalità degli ecosistemi, garantendo così una più alta e diffusa qualità della vita per popolazioni ben più grandi di quelle ricomprese all’interno del solo perimetro fisico delle Aree protette medesime. Tanto per la parte politica che per quella amministrativo-burocratica degli Enti gestori delle Aree protette, così come in quasi tutte le pubbliche amministrazioni, la principale criticità risiede nel saper innovare se stessi, passando da un approccio classico autoreferenziale ad un approccio partecipato effettivo ed efficace. Insieme a queste criticità merita senz’altro di essere menzionato un aspetto solo in apparenza marginale, ossia la resilienza propria della biodiversità che da proprietà positiva si trasforma, non di rado, in elemento negativo nella percezione umana rispetto al possibile peso delle ricadute del proprio agire, portando sovente a trascurare e/o a sottovalutare fortemente le pressioni aggiuntive a cui l’uomo sottopone, in assenza di una seria lettura critica, gli ecosistemi e le specie.

La natura ha bisogno di inclusione

La sfida per difendere la biodiversità e costruire il benessere dell’uomo obbligano ad includere tutte le potenziali relazioni che le differenti attività umane instaurano con gli ecosistemi e le specie. Con questa filosofia, nell’esperienza maturata nell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte, mi sono speso, insieme agli altri consiglieri, affinché fossero posti particolare attenzione ed impegno nel costruire il quadro generale conoscitivo e le norme di riferimento che ne discendono, dal Piano per il Parco e il Piano Pluriennale Economico e Sociale (il cui iter è stato concluso con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale nel 2009) e dal Regolamento del Parco (adottato ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) nel quale si evidenzia proprio che nel “riconoscere la molteplicità di valori, interessi e preoccupazioni relativi ai propri obiettivi primari di tutela delle risorse naturali presenti nel territorio del Parco, nel ritenere importante la ricerca di trasparenza ed equità nella gestione delle risorse naturali medesime, nel considerare fondamentale per la conservazione della natura saper offrire la possibilità alla società civile di assumere ruoli e responsabilità di crescente rilevanza, intende promuovere e sostenere iniziative di co-gestione delle risorse naturali sulla scorta delle principali esperienze internazionali”. Alcuni piccoli esempi sperimentali avviati dall’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte, area protetta situata nel sud Italia, con tutte le difficoltà aggiuntive, ampiamente note, presenti in questi territori, dalla debolezza delle istituzioni locali allo strapotere della criminalità organizzata solo per citarne due, mostrano elementi di grande positività nel tentare di innovare percorrendo questo approccio. Un primo esempio è fornito dal progetto di reintroduzione del Capriolo italico (Capreolus capreolus italicus), una delle specie animali selvatiche assenti da circa un secolo dalla biocenosi dell’Aspromonte, progetto sviluppato partendo da un’attenta ricerca e pianificazione della fattibilità della reintroduzione con il contestuale avvio del coinvolgimento e della opportuna formazione di cittadini- cacciatori residenti nei Comuni del Parco. Ciò al fine di porsi chiari obiettivi, reali, misurabili, condivisi e verificabili, consentire la compartecipazione di numerosi cittadini alle azioni, tra cui la partecipazione ad uno scambio di esperienze di gestione con le realtà centro-italiane da dove provengono i fondatori del nucleo reintrodotto, e alla raccolta delle informazioni necessarie al fine di valutare gli esiti del progetto medesimo, impostazione che sta restituendo all’Ente Parco risultati che vanno ben oltre il «solo» recupero di un elemento della biodiversità presente nel Parco. Analogamente, un secondo esempio sperimentale è stato messo in atto con la scelta di voler misurare, in modo puntuale, le possibili conseguenze legate al disturbo alla fauna nello svolgimento di una manifestazione sportiva di cui era stata avanzata richiesta all’Ente e riguardante prove cinofile su beccacce. Attraverso un iter autorizzativo rigoroso, partecipato e condiviso, che ha posto in essere misure prescrittive molto più efficaci e volontariamente accolte, si sono aperti nuovi scenari collaborativi tra Ente Parco e altre categorie di cittadini, gli appassionati di cinofilia, accrescendo contestualmente in loro la consapevolezza di quanto sia importante l’esigenza di tutela e rispetto del patrimonio naturale custodito in Aspromonte. Piccoli segni, piccole tracce, di un’ambiziosa sfida per le Aree protette, ancora in gran parte da affrontare, e che merita di essere decisamente assunta a partire da noi che in questa sfida crediamo perché, come richiamava il Mahatma Gandhi, “Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”.

Antonino Morabito

Consiglio Direttivo e Giunta Esecutiva dell’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte