di Alessandro Ricci • Affinché il settore possa incidere efficacemente sulla competitività del sistema economico, è importante individuare delle priorità: operare secondo una logica «multi-modale» del trasporto, avviare una politica di aiuti finanziari, aggiornare la normativa esistente
Che lo sviluppo economico e la competitività di un Paese siano strettamente legati all’efficienza, alla funzionalità e all’accessibilità delle dotazioni infrastrutturali è ormai un’evidenza inconfutabile così come lo è la possibilità di proporsi al mercato con un sistema integrato, sinergico e efficiente di infrastrutture (strade, porti, ferrovie) che rappresenti un elemento di attrazione per gli investimenti esteri in quanto generatore di produttività.
L’Italia soffre, purtroppo, da tempo la mancanza di una strategia logistica condivisa in grado di circoscrivere e guidare ruoli e funzioni di tutti gli attori e di contenere le spinte anarchiche di chi, in mancanza di un ordine superiore, procede in modo solitario al di fuori di un’ottica di sistema. Le numerose potenzialità di cui gode il nostro Paese, a cominciare dalla sua posizione geografica, così centrale rispetto all’Europa, rischiano di essere polverizzate proprio per la mancanza di un disegno omogeneo di sviluppo, di una politica forte che riconosca la strategicità delle infrastrutture in un processo di rilancio complessivo del Paese con un piano di sviluppo a lungo termine che finalmente allinei l’Italia all’Europa. In questo contesto, la UIR accoglie con interesse il lavoro messo in campo dal Governo che, nell’elaborare un nuovo Piano della Logistica, riconosce proprio alla logistica la funzione di incidere sulla competitività del sistema economico nel suo insieme e si propone di dare un contributo costruttivo alla predisposizione delle politiche future che dovrebbero determinare una trasformazione reale dell’assetto logistico nel nostro Paese.
Limiti organizzativi
Il controllo delle soluzioni logistiche congiuntamente alla qualità dei prodotti ed alla rete di commercializzazione, costituisce una delle variabili essenziali per posizionarsi con successo sui mercati internazionali. Nel coordinamento dei tre elementi di cui sopra, l’Italia marca, però, un ritardo per aver storicamente delegato a terzi l’organizzazione dei processi logistici (in entrata e in uscita) compromettendo un rapido riorientamento dei flussi di import-export indispensabile a seguito della crisi in corso. Per andare in questa direzione occorrerebbe prendere atto delle forze effettivamente in campo, a partire dal peso e dalla rilevanza dell’autotrasporto, vera spina dorsale della nostra attuale organizzazione logistica. Che l’Italia soffra, però, un’eccessiva parcellizzazione dell’offerta di autotrasporto che inficia l’efficienza di prestazioni di servizio competitive sia dal punto di vista economico che qualitativo è, purtroppo, un’evidenza. Bene sarebbe allora individuare delle barriere in entrata e dei precisi standard qualitativi che possano contenere il frenetico aumento di singoli operatori attivando sani processi di selezione e di razionalizzazione del mercato a beneficio di un’impresa di autotrasporto sicuramente più solida.
Incentivi e strategie per la multi-modalità
Ancora, l’autotrasporto italiano opera, purtroppo, in maniera del tutto isolata, slegato da qualsiasi logica di cooperazione intermodale considerata una minaccia e non certo un’opportunità di offrire servizi di trasporto più efficienti e meno impattanti. Sfugge ancora l’evidenza che il trasporto stradale è un elemento del trasporto intermodale e quindi parte di una politica di sviluppo poliedrica che deve tener conto di un’offerta globale. Appare, però, difficile che si possano determinare cambiamenti nell’assetto del mercato senza stimoli ed aiuti finanziari. Quando si assegnano incentivi per il rinnovo delle flotte camionistiche, come nel caso del recente decreto cosiddetto «ferrobonus», sarebbe auspicabile che tali risorse fossero finalizzate all’acquisto di mezzi vocazionalmente adatti alla intermodalità per scoraggiare l’attuale predominanza del tutto-strada. Difatti, il passaggio dalla mono alla multimodalità costituisce un tassello imprescindibile per far evolvere le imprese di autotrasporto verso la gestione di una catena del valore più estesa rispetto alla pura offerta di servizi trazionistici.
Se è assolutamente prioritario riorganizzare l’offerta di servizi logistici, lo è altrettanto la trasformazione della domanda di servizi logistici da parte del sistema industriale che dovrebbe finalmente riappropriarsi della gestione del ciclo logistico e non più delegarlo ad acquirenti e venditori esteri con le clausole franco fabbrica per l’export e franco destino per l’import. Anche in questo caso, sarà indispensabile identificare concreti strumenti che siano in grado di indurre comportamenti che vadano nella direzione di una modernizzazione dei processi logistici.
La necessità di armonizzare e di orientarsi con azioni concrete verso l’intermodalità dei trasporti è un obiettivo primario da perseguire, pena l’emergere di scelte alternative di localizzazione e di utilizzo di altre aree europee dotate di maggiori infrastrutture e di servizi più efficienti, più rapidi, meno costosi e meno impattanti. Un allineamento strategico di tutti i principali attori coinvolti nel processo logistico e con esso il rafforzamento della maglia primaria delle piattaforme intermodali, terrestri e marittime in un contesto di effettiva integrazione delle sette piattaforme territoriali individuate nell’allegato al DPEF 2009-2013, potrebbe valorizzare logiche di sinergia e disincentivare politiche di competizione territoriale. Del resto, proprio il passaggio dal concetto di corridoio a quello di rete caldeggiato dalla Commissione Europea («Consultazione sulla futura politica in materia di rete Transeuropea di trasporto», Bruxelles, 4/5/2010 COM (2010) 212 definitivo), spinge verso una logica non più puntuale ma di sistema.
L’identificazione di un network intermodale condiviso e l’allineamento degli indirizzi nazionali con leve decisionali che oggi sono essenzialmente nelle mani degli Enti territoriali, dovrebbero fare da deterrente al processo di proliferazione di insediamenti logistici al di fuori di politiche intermodali e di sistema.
Il supporto normativo
Cambiamenti così radicali del sistema logistico nazionale necessitano di essere inseriti in un nuovo quadro normativo che, per ciò che interessa maggiormente UIR, si riferisca in particolare agli Interporti.
La legge 240/90, che ha avuto il grande merito di attivare il percorso fondativo dell’esperienza interportuale in Italia, richiede ora di essere aggiornata per tener conto delle trasformazioni intervenute e della necessità di dare nuovo slancio alla operatività degli interporti nazionali in un quadro europeo.
Alessandro Ricci