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La logistica per il futuro del settore portuale

Nereo Paolo Marcucci
Nereo Paolo Marcucci

di Roberta Di Giuli • Nell’intervista a Nereo Paolo Marcucci, Presidente di Assologistica, realtà e prospettive del settore portuale che necessita di strategie e infrastrutture di sostegno mirate oltre ad un ammodernamento radicale della normativa esistente


 

  • Con la crisi economica ormai in fase di recessione, è tempo di bilanci. Quali sono state le strategie adottate dai Terminalisti portuali per contenere le ricadute del calo dei traffici internazionali e quali i risultati e le attuali prospettive?

Crisi economica, rilancio, prospettive e previsioni sono parole che dal 2009 hanno assunto un significato molto diverso rispetto al recente passato. È vero che si registrano segnali di inversione nei principali indici della produzione internazionale e ovviamente questo corrisponde anche al percepito dall’Industria portuale. Ma quei segnali restano, per il momento, assolutamente ondivaghi. Basti pensare alla attuale situazione del mercato immobiliare negli USA ed in Gran Bretagna che alcuni osservatori assumono quale segnale di una nuova fase di crisi a W.

Certo che i volumi sbarcati ed imbarcati nel 2010 hanno in parte recuperato il gap registrato tra la fine del 2008 ed il 2009 ma non è possibile dare una visione unitaria ed omogenea ed esistono ancora situazioni i cui risultati appaiono contrastanti ed incerti. Un porto come La Spezia segna aumenti a due cifre ma rappresenta una eccezione. I porti di transhipment risentono ancora in maniera negativa degli effetti di distorsione della competizione con gli scali del Nord Africa che possono contare su costi generali di servizio e sistemi di tassazione molto più bassi di quanto non si possa praticare in Europa. La remunerazione dei servizi resi dall’Industria portuale è ancora influenzata dalle condizioni imposte dalle necessità di sopravvivenza dell’armamento ed impone il contenimento degli investimenti. Registriamo dunque una tensione sui risultati che, come in molti sostengono, rimarrà a lungo e condizionerà lo sviluppo futuro con tassi di crescita piuttosto moderati e lenti caratterizzati da una ripresa a macchia di leopardo per aree e segmenti di traffico (le rinfuse solide hanno recuperato solo il 15% del 45 che avevano perduto nel 2008-2009). Siamo convinti che il futuro premierà ancora di più del passato quelle realtà altamente competitive e flessibili che hanno saputo elevare gli standard e le rese garantendo ai clienti un recupero addizionale di efficienza che è, e sarà, più che mai necessario.

Tutto ciò nonostante il parziale recupero dei noli mare sulle principali rotte Est-Ovest. Recupero che resta ben al di sotto delle necessità delle grandi Shipping Lines che hanno perso nel solo 2009 ben 20 miliardi di dollari. È possibile che i noli non salgano quanto necessario in conseguenza del permanere della sovraccapacità di stiva. La sovraccapacità di stiva potrebbe essere destinata a crescere (anche in questo caso a macchia di leopardo per le diverse relazioni di traffico) per l’ingresso di giganti del mare capaci di trasportare oltre 14.000 teus. Le economie di scala – che hanno determinato la costruzione di queste navi – si realizzano solo con indici di riempimento elevati e con una ottimizzazione dei transit time tra i vari scali internazionali che non può prevedere ritardi o cancellazioni. Come si vede molte variabili non sono ancora pienamente chiare.

L’Industria portuale italiana, già a metàdel 2008, ha impostato una serie di azioni per il contenimento dei costi, cercando di mettere in campo tutte le sinergie possibili che gruppi internazionali come quelli che operano in Italia prevalentemente nel settore contenitori sono capaci di garantire. Ma la stessa cosa si può dire, per gli altri settori, laddove il nanismo dimensionale per fortuna era in via di superamento. Si è ricorsi alla cassa integrazione per il personale diretto in modo contenuto sia a Gioia Tauro che a Taranto che a Genova. L’indotto, però, e tutti coloro che offrono prestazioni indirette hanno sofferto, e continuano a soffrire, per il calo dei volumi che in alcune realtà ha attestato i risultati a quelli registrati 8 anni fa. La pressione sui costi è stata tale, e per alcuni aspetti è tale, per cui tutto il sistema ha dovuto intraprendere una forte ristrutturazione. Condivido le recenti affermazioni di alcuni senior manager che prevedono ulteriori scossoni negli assetti societari trovando difficile che si possa essere entrati nella crisi peggiore che le economie moderne hanno mai registrato con gli stessi attori con cui probabilmente ne usciremo.

  • La posizione geografica dell’Italia dovrebbe candidare il nostro Paese a svolgere un ruolo centrale nello smistamento delle merci internazionali. Una vocazione che però non sembra trovare riscontro. Lei ritiene che lo sviluppo di porti con traffici di transhipment e di quelli cosiddetti di «destinazione», potrebbe rappresentare la spinta determinante per attrarre i volumi di traffico che attualmente scalano i porti del Nord Europa? Quali sono i progetti logistici che si stanno portando avanti per raggiungere un così ambizioso quanto legittimo obiettivo?

Continuiamo a porre l’attenzione in maniera esclusiva sui porti come se in un corpo umano pensassimo solo alla bocca senza considerare l’apparato digerente. La logistica è sistema ed è piuttosto ovvio il fatto che il nostro Paese stia scontando un livello di infrastrutturazione in reti di comunicazione (ferrovie e strade) non adeguato. Non lo era quando nei primi del 2000 era diminuito il gap tra le merci movimentate nel Nord Europa rispetto al Sud Europa in una condizione economico/politica positiva ed a maggior ragione lo è ancora oggi con le merci che cercano la strada più efficiente ed economicamente vantaggiosa. Su questo fattore i Terminal Operator più avveduti sono convinti da sempre che esista una sola chiave di svolta: la ferrovia. È necessario infatti allineare i tempi ed i sistemi lato nave (che lavorano H24 365 giorni all’anno) con il sistema logistico lato terra che invece è ancora legato a schemi organizzativi e sindacali costosi e datati che producono inefficienze e che dovranno essere eliminati se non vogliamo rimanere tagliati fuori perfino da quote di traffico destinate al nostro Paese. Questo varrà probabilmente ancora di più nel futuro considerando per un verso i limitati tassi di crescita del nostro PIL, e quindi la limitata crescita dei consumi industriali e finali, e per un altro verso la scarsa crescita di nuove infrastrutture fisiche.

Saranno vincenti i sistemi come quello pensato e realizzato negli Anni Ottanta a La Spezia tutto puntato su un sistema di inoltro delle merci via ferrovia. La Spezia è riuscita a sviluppare i propri volumi su di uno spazio disponibile estremamente limitato e questo è dimostrato dagli indici principali, ovvero dal numero di teu per metri lineari di banchina e numero di teu per metri quadrati di piazzale. Ferrovia come condizione necessaria ma non sufficiente a realizzare un primato europeo che è frutto, inoltre, di una grandissima professionalità degli operatori, di un’innovazione continua dei processi, di investimenti in informatica e telematica molto alti e di una chiara mission nei confronti della ferrovia che oggi raggiunge circa il 30% del movimentato, con l’obiettivo di innalzarla sino al 40/45% nei prossimi 2 anni.

La posizione geografica non è condizione sufficiente neppure a garantire che i traffici destinati al Paese lo raggiungano attraverso i suoi porti. Si quantificano da 700.000 a 2.000.000 i contenitori che arrivano al mercato domestico provenendo da porti non nazionali. Un numero destinato a salire nonostante l’efficienza dei nostri porti a causa delle inefficienze delle infrastrutture trasportistiche di terra e dei costi occulti (ma ampiamente percepiti) generati dalle inefficienze della Pubblica Amministrazione.

  • In merito agli sviluppi dei traffici nel Mediterraneo grandi Armatori o Terminalisti internazionali hanno terminal importanti in Italia ma anche in Nord Africa. Come ritiene si svilupperanno i traffici in quest’area? Prevede un cambiamento nelle rotte internazionali delle principali linee di navigazione?

I Terminal del Nord Africa gestiti da soggetti di dimensione internazionale, per il momento svolgono prevalentemente servizi di transhipment ed in alcuni casi sono competitori dei nostri. Da alcuni approfondimenti che abbiamo fatto si può prevedere che in alcuni anni l’offerta di servizi dell’industria portuale delle due sponde del Mediterraneo sia saturata dalla domanda per circa il 70%. Questa prospettiva dovrebbe suggerire al Governo Italiano opportuni interventi di sostegno a favore di Gioia Tauro, Cagliari e Taranto per un certo periodo. Attualmente, e per alcuni anni, la forbice tra capacità di offerta (continuamente incrementata nei porti Nord africani) e la bassa crescita della domanda non potrà che favorire l’offerta a minor prezzo.

  • La portualità italiana e la logistica sono spesso oggetto di articolati interventi politici. Ritiene che il Governo sia attento alle esigenze degli operatori privati nei porti o sarebbero necessari impegni più mirati?

Ritengo che vi sia consapevolezza sia del Ministro Matteoli che del Sottosegretario Giachino al quale ultimamente è stata data delega per la definizione di un nuovo «Piano della Logistica». Non posso dire che vi sia consapevolezza dell’intero Governo considerando le risorse finanziarie destinate al settore se si fa eccezione per il «Ferrobonus» recentemente approvato. La mia opinione è che in questo momento si debbano accantonare iniziative che non incidano nel breve periodo su due obiettivi prioritari: il mantenimento, consolidamento ed ampliamento dei traffici destinati al Paese recuperando anche quote crescenti di quelli dei quali abbiamo discorso prima ed il mantenimento in attività dei porti di transhipment. Per questi ultimi è indispensabile ristabilire un livello corretto di competitività. Il Governo ha già dato un primo segnale con l’autonomia offerta alle Autorità Portuali per la modifica delle tasse di ancoraggio che però oggi trova precisazioni e distinguo – che rischiano di rendere inattuabile la norma – da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze. È inoltre indispensabile agire sul costo del lavoro fiscalizzando una quota dei costi contributivi. Si tratta infine di valutare le dimensioni dell’impatto sulla riduzione dei costi energetici della Circolare 5/d/2010 dell’Agenzia delle Dogane. Sul «traffico regionale» sia in import che in export è necessario agire più sul software che sull’hardware eliminando i molti colli di bottiglia esistenti nei porti ed in generale nel sistema logistico, allineando per costi e tempi di consegna lo standard italiano a quello dei Paesi competitor europei. Questo non significa un minor livello di controlli ma semplicemente l’adozione di quello «sportello unico doganale» nel quale unificare la molteplicità dei controlli. Sulla catena logistica, abbandonando ogni illusione, dovremmo puntare sul pluralismo nel trasporto ferroviario considerato come leva operativa per ottimizzare i flussi in entrata ed uscita dai porti. Al Ministro ed al Governo piuttosto di una ormai improbabile revisione della legge 84/94 – i cui contenuti innovatori sono stati mano a mano ridotti – chiederei solo uno sforzo per modificare alcuni aspetti della normativa esistente con particolare riguardo alla distribuzione più equa dei costi di «safety portuale » assumendo l’accordo interassociativo a suo tempo sottoscritto da tutte le componenti direttamente interessate come utile punto di partenza.

L’opinione che insieme a molti operatori europei ci stiamo formando è che più il tempo passa più ci si deve rendere conto che le norme che alla fine degli anni ’80 determinarono la gestione privata dei porti, necessitano di ammodernamenti radicali. La Spagna si è mossa per prima in questa direzione. Ciò che apprezzo della nuova Legge spagnola è la possibilità che Amministrazioni pubbliche e Industria portuale siano partner: questo è il significato politico assai più che economico della flessibilità nell’applicazione delle tasse portuali prevista dalla nuova Legge. In effetti dopo venti anni e con alcune importanti concessioni che termineranno a breve si porranno questioni di continuità produttiva per i porti, di mantenimento dell’occupazione e di diritti del Terminalista che postulano la revisione radicale della legge 84/94 mentre la discussione non è neppure iniziata.

  • Nell’ambito di questo strategico settore, nella grande sfida del secolo, quella dello «sviluppo sostenibile», pensa che l’Italia partecipi realmente preparata? Quale atteggiamento dovrebbe assumere il Governo nei confronti delle società private che investono nell’ambiente?

Ancora una volta credo che molto si possa fare con specifico riferimento al modal shift ovvero allo sviluppo di un trasporto maggiormente specializzato sulla ferrovia rispetto al tutto strada. Si possono poi pensare a moltissimi altri piccoli interventi che aiutino le imprese ad investire su un sistema di fattori produttivi il più green possibile. Alcuni Gruppi hanno intrapreso questa strada già da alcuni anni e partecipano attivamente insieme ai principali operatori terminalistici mondiali ad esempio al TOCOFO (il cui acronimo significa Terminal Operators CO2 Forum) attraverso il quale si definiscono gli standard di misurazione mettendo a fattor comune le migliori pratiche per l’abbattimento delle emissioni. Molti operatori stanno lavorando intensamente con i principali fornitori di macchine ed attrezzature per sviluppare una nuova generazione di equipment in grado di coniugare sostenibilità ambientale, minori consumi, e maggiori prestazioni di ciclo. Spero ci sia evitato il disastro che è toccato all’industria manifatturiera che tra “Not in my back yard”, ideologismi, ignoranza hanno aiutato la delocalizzazione produttiva molto di più di quanto fosse giustificato dai differenziali di costo del lavoro.

 

Roberta Di Giuli