Uno studio di Transport&Environment descrive un’altra faccia dei biocarburanti: genererebbero il 16% di CO₂ in più rispetto ai combustibili fossili. Se, inoltre, i terreni oggi destinati alle biomasse fossero impiegati per colture alimentari, potrebbero nutrire 1,3 miliardi di persone
A poche giorni dalla COP30 in Brasile (XXIX Conferenza delle Parti dell’UNFCCC – 10-21 novembre), uno studio di Cerulogy commissionato da Transport&Environment (T&E), la principale organizzazione europea impegnata nella decarbonizzazione dei trasporti, mette in discussione uno dei pilastri della transizione energetica: i biocarburanti. Secondo la ricerca, questi combustibili emettono in media il 16% di CO₂ in più rispetto ai carburanti fossili che dovrebbero sostituire, considerando l’intero ciclo di produzione e il cambiamento indiretto dell’uso del suolo (ILUC).
Le coltivazioni destinate alla produzione di biofuel occupano oggi circa 32 milioni di ettari a livello globale – una superficie pari a quella dell’Italia – pur coprendo appena il 4% del fabbisogno energetico dei trasporti. Senza un’inversione di tendenza, si prevede che entro il 2030 le superfici coltivate cresceranno del 60%, raggiungendo 52 milioni di ettari, l’equivalente della Francia.
L’analisi mostra che i biocarburanti derivati da palma e soia sono tra i peggiori in termini di impatto ambientale, poiché legati alla deforestazione e alla distruzione delle torbiere. Entro il 2030, le emissioni aggiuntive rispetto ai combustibili fossili potrebbero raggiungere 70 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti l’anno – pari alle emissioni di quasi 30 milioni di auto diesel. Le quantità realmente sostenibili, cioè prodotte da scarti, restano marginali e dovrebbero essere destinate ai settori più difficili da decarbonizzare, come quello aereo, non al trasporto stradale.
Un altro aspetto critico riguarda lo spreco di suolo. Secondo T&E, se i terreni oggi usati per le biomasse tornassero a essere ecosistemi naturali, potrebbero assorbire oltre 400 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno. Allo stesso tempo, con il solo 3% di quella superficie impiegato per impianti solari, si otterrebbe la stessa quantità di energia prodotta dai biocarburanti. L’energia generata in questo modo sarebbe inoltre sufficiente ad alimentare quasi un terzo dell’attuale parco auto mondiale, se elettrico.
Il rapporto evidenzia anche un problema etico e alimentare. Oggi, il 90% della produzione globale di biocarburanti proviene ancora da colture destinate al consumo umano: mais, canna da zucchero e olio vegetale. Nel 2023, l’industria dei biofuel ha consumato 150 milioni di tonnellate di mais e 120 milioni di tonnellate di zuccheri, mentre ogni giorno le auto a benzina e diesel bruciano l’equivalente di 100 milioni di bottiglie di olio vegetale. Un quinto della produzione mondiale di olio alimentare viene così sottratto all’alimentazione, in un mondo in cui 1,3 miliardi di persone potrebbero essere sfamate con le stesse risorse.
Lo studio di T&E sottolinea anche il costo idrico di questa produzione: percorrere 100 chilometri con un’auto alimentata da biocarburanti richiede in media 3.000 litri d’acqua, contro i 20 litri necessari per un veicolo elettrico alimentato da energia solare. Un dato allarmante, in un contesto di crisi climatica e crescente scarsità di risorse idriche.
“I biocarburanti sono una falsa soluzione per il clima – ha dichiarato Carlo Tritto, Sustainable Fuels Manager di T&E Italia -. Hanno un consumo di suolo enorme, creano competizione con i beni alimentari e, in termini di emissioni, risultano perfino peggiori dei combustibili fossili. Per produrre la stessa energia basterebbe il 3% del suolo, se usato per il solare. Con quell’energia potremmo far circolare un terzo delle auto del mondo, se elettriche”.
L’espansione della produzione di biofuel pone inoltre significativi rischi per gli ecosistemi. Il Brasile, che ospiterà dal 10 novembre la COP30, è tra i Paesi che più stanno investendo in biocarburanti e ha recentemente revocato la moratoria sulla soia, aprendo alla deforestazione dell’Amazzonia. T&E avverte che questa scelta, motivata dalla spinta verso carburanti «rinnovabili», potrebbe aggravare la crisi climatica e accelerare la perdita del principale polmone verde del pianeta.
L’organizzazione invita ora i governi europei e internazionali a rivedere il ruolo dei biocarburanti nelle politiche di decarbonizzazione, destinando invece i fondi pubblici all’elettrificazione diretta dei trasporti, all’efficienza energetica e allo sviluppo di tecnologie veramente sostenibili.
[ Alessandra Vitale ]
