di Francesco Nerli • Priorità e strategie per una riforma del sistema. Dagli interventi attuati con le leggi 413 e 166 all’individuazione di nuovi obiettivi di crescita
L’assetto della portualità italiana ha subito una profonda modifica nel senso della liberalizzazione delle operazioni portuali in un mercato regolato. Ciò ha dato via all’insediamento di importanti e molteplici operatori terminalisti, con al loro fianco le Autorità Portuali, enti pubblici di effettiva regia, coordinamento e promozione.
Le disposizioni legislative, come la legge 413 del 1998 e la 166 del 2002, hanno anche fornito al sistema nazionale portuale, significative risorse, permettendo, per quanto è stato possibile impiegarle, importanti interventi strutturali.
I primi dieci anni di applicazione della legge, accompagnati dalle risorse di cui si è detto, hanno permesso un forte sviluppo della portualità nazionale che in quel decennio è riuscita anche a ripagare un debito di oltre 1.000 miliardi di lire accumulato dai sistemi precedenti.
Nello stesso periodo si è assistito ad una forte crescita dei volumi di traffico portuale, crescita che si è accompagnata anche ad un significativo aumento del gettito di IVA e accise per le casse erariali (oggi il volume di gettito è stimato in circa 10 miliardi di euro). A partire dall’anno 2002, una serie di circostanze (anzitutto i ripetuti «blocchi» della spesa) ha acuito la difficoltà di impiego delle risorse (queste difficoltà possono essere esemplificate ricordando che mediamente occorrono anche 5 anni per il completamento dell’iter di approvazione di un PRP e che, poi, le singole opere attuative sono nuovamente sottoposte a lunghi iter approvativi locali).
La crisi economica del 2008 ha prodotto, a partire dalla seconda metà di quell’anno, un forte impatto sui volumi di traffico; considerevoli contraccolpi sulle imprese anche del segmento portuale (contraccolpi aggravati dal perdurare, a tutt’oggi, dalla fase critica); l’accelerazione del mutamento delle strategie di grandi player internazionali, in particolare del settore container, al fine di ottimizzare gli investimenti, generando riequilibri anche dei volumi tra un porto e l’altro.
Alla luce di questi elementi e di altri non trascurabili fattori che concorrono a comporre lo scenario (maggiore crescita a scala globale dei flussi Sud-Nord e Nord-Sud rispetto alla direttrice Est-Ovest, segnali di «protezionismo», pirateria, ecc.), Assoporti individua come fattori determinanti per il futuro dei porti italiani, per quanto riguarda la funzione «commerciale»:
• una minore domanda sulle rotte Est-Ovest;
• una maggiore domanda sulle rotte Nord-Sud;
• il minor utilizzo di Suez, che unitamente ai minori costi operativi degli scali marittimi Nord-africani incide negativamente sui porti di transhipment;
• l’aumento della capillarità dei servizi «regionali» dedicati, in grado di agire favorevolmente sui porti medio-piccoli;
• l’intensificazione dei servizi Infra-Med (full container, multipurpose, Ro-Ro) che favorisce la pluralità dell’offerta portuale.
Se queste sono le tendenze per i traffici commerciali, non vanno dimenticati i diversi porti italiani che svolgono anche funzioni turistico-passeggeri; collegamenti interni, infra UE e mediterranei alternativi alla mobilità terrestre; traffici di rinfuse di massa (solide e liquide) trattate in grandi impianti industriali costieri. Per tutti questi traffici gli andamenti non sono stati omogenei. I collegamenti di breve/medio raggio hanno avuto talvolta e dovrebbero avere in futuro degli incrementi. I traffici ed i porti industriali hanno invece accusato, anche fortemente, la crisi ma, in vista di un recupero, che si prevede allorché sarà superata la congiuntura attuale, anche essi richiedono interventi di miglioramento e potenziamento, stante la valenza che hanno nei territori ove insistono.
Proposte del Governo e risultati
In questo contesto e con quella prospettiva, il Governo, per voce del Ministro Matteoli, ha assunto verso la portualità, in occasione dell’Assemblea Assoporti dell’ottobre scorso, l’impegno di «chiudere» a breve un d.d.l. (quello elaborato dall’VIII Commissione del Senato) articolato su 5 distinti pilastri: la chiara identificazione del ruolo e delle funzioni delle Autorità portuali, il rapporto tra porto e territorio e tra porto e reti di accesso (il cosiddetto «ultimo miglio»); l’utilizzo di aree dismesse per usi produttivi; la stabilizzazione del lavoro portuale; la certezza dell’autonomia finanziaria per le A.P.; l’istituzione di una cabina di regia con lo scopo di individuare azioni ed interventi, per ogni singolo «sistema portuale», finalizzati a rendere accessibili gli impianti portuali e superare le carenze dell’offerta. Nell’arco di poco più di 8 mesi, Assoporti prende atto che, nonostante quegli impegni:
• il d.d.l. di riforma della legislazione portuale, da Assoporti condiviso, elaborato dall’VIII Commissione del Senato, ha subito una «battuta di arresto»;
• non si è dato riscontro alla pressante necessità di risorse né per l’infrastrutturazione dei porti né per le manutenzioni ordinarie;
• nonostante le ripetute sollecitazioni del cluster marittimo-portuale intese a risolvere urgenti e non prorogabili criticità (es. abbattimenti delle accise sui carburanti dei mezzi operativi portuali; riduzione temporanea degli oneri sociali per le imprese) ad oggi nulla è stato fatto;
• è stata inserita nel decreto «milleproroghe» (che si avvia alla conversione in legge) una norma che, prevedendo la possibilità da parte di singole Autorità Portuali, consente di azzerare le tasse di ancoraggio e quelle sulle merci. Ciò introduce il concreto rischio di destabilizzare non solo l’equilibrio economico di molte A.P., ma anche l’equilibrio del sistema delle imprese operanti nei porti, lacerando le diverse componenti del cluster marittimo-portuale.
La visione comunitaria
La Comunità Europea ha recentemente individuato uno scenario della portualità che tiene conto dell’evoluzione del sistema oggi in atto; in questo scenario sono indicati i sistemi portuali (dal Nord Europa all’Alto Adriatico) in relazione al mercato servito. Evidenzia poi la rilevanza di una portualità diffusa, indispensabile per un corretto sviluppo delle relazioni intramediterranee e degli hub di transhipment.
Un esame attento di questa mappa delle principali regioni logistiche europee e dei sistemi portuali di accesso può essere messo alla base di una strategia della portualità nazionale.
Le priorità di Assoporti
Assoporti ritiene necessario assicurare una crescita complessiva del sistema dei porti italiani e di tutte le singole componenti di quel sistema, che assolvono funzioni di movimentazione di merci direttamente provenienti o dirette oltre oceano, ma anche, la redistribuzione dei grandi flussi di merce sul territorio, dove le attività produttive e le aree di consumo sono diffuse, nonché la logistica dei prodotti energetici; i collegamenti con le aree insulari maggiori e i collegamenti interni alternativi alla modalità terrestre; la funzione turistico-passeggeri, che ha specificità e rilievo nella componente crocieristica; l’approvvigionamento via mare di grandi impianti industriali costieri o sea-oriented, ivi compresi quelli energetici.
Assoporti sottolinea altresì l’importanza dei sistemi dell’Alto Tirreno e del Nord Adriatico e la necessità del mantenimento dei nodi di transhipment (pur rilevando il fatto che i ritmi di crescita di questi ultimi saranno condizionati da quelli dei porti africani).
In considerazione di ciò, richiede l’adozione di provvedimenti mirati a raggiungere:
• l’autonomia finanziaria delle A.P., nella prospettiva medio-breve;
• nelle more, la messa a disposizione di risorse fresche per fare fronte agli oneri di manutenzione ed urgenti investimenti infrastrutturali;
• nell’immediato, una riduzione temporanea ma non episodica del costo del lavoro per le imprese, attraverso una parziale fiscalizzazione degli oneri sociali;
• sempre da subito, l’abbattimento delle specifiche voci di costo (operativo) dei carburanti per i mezzi operativi portuali; l’adeguamento del quadro normativo di riferimento per la portualità – la L. 84/94 – al fine di rafforzare il ruolo di governo delle A.P. e la funzione di promotore di servizi di logistica nel territorio e nell’area vasta nonché per velocizzare e rendere più certi i tempi di pianificazione e realizzazione degli investimenti. Per il raggiungimento di questi obiettivi strategici, si propongono quali concreti strumenti da attivare, con urgenza:
• l’avvio di progetti integrati portuali e di connessione ferroviaria, stradale e di navigazione interna da realizzare mediante Accordi di programma con il coinvolgimento degli Enti locali, delle Regioni, delle A.P. e degli altri attori della logistica. Questo anche per porre fine a inutili e sbagliate ipotesi di «supercommissari»;
• l’estensione agli investimenti portuali delle procedure di legge obiettivo;
• la semplificazione degli iter autorizzativi dei PRP e dei singoli investimenti;
• il rafforzamento dei poteri delle Autorità Portuali.
Francesco Nerli