di Luigi Robba – Per accrescere la competitività del settore, occorrono sia uno snellimento di procedure, un’accelerazione dei processi amministrativi, una riduzione della fiscalità sul costo del lavoro, che nuovi mirati investimenti in infrastrutture portuali e in opere per i collegamenti tra i principali nostri porti e le grandi reti stradali e ferroviarie
Noi sosteniamo che portualità e shipping svolgono un ruolo decisivo per l’economia del Paese; devono essere considerati il cuore della logistica italiana, nella prospettiva del nuovo Piano nazionale della logistica in fase di elaborazione. La sola portualità con i suoi qualificati e numerosi operatori privati e pubblici, con circa 18 miliardi/anno di euro di fatturato (vedasi Rapporto Censis del maggio 2008), contribuisce significativamente al PIL nazionale. In questo ambito le attività svolte dai terminalisti e dalle imprese per operazioni di carico e scarico sono non solo importanti in riferimento all’import-export del sistema Paese, alle movimentazioni di merci e passeggeri ed ai servizi agli stessi resi, ma a queste attività deve essere riconosciuto un rilievo strategico, che sino ad oggi ci pare sia stato piuttosto sottovalutato. Per es., la produttività del lavoro nel settore logistico portuale è rappresentata da un valore aggiunto per addetto superiore a 72mila euro (vedasi la suddetta ricerca Censis), che costituisce un buon indice sia in assoluto, sia confrontato con altre attività di servizi e produttive.
Traffici portuali
A seguito della riforma portuale del 1994, il nostro settore ha contribuito in modo determinante, anche attraverso investimenti e innovazioni tecnologiche, a dare affidabilità ed economicità ai servizi di handling portuale, facendo riconquistare all’Italia quote di mercato nei traffici internazionali via mare e permettendo altresì lo sviluppo delle cosìddette «Autostrade del Mare» nazionali e comunitarie. Infatti, a comprova di una riacquistata efficienza, dal 1995, a parte l’ultimo biennio influenzato negativamente dalla crisi internazionale, i traffici portuali, innanzitutto di merci varie in contenitori e per altre unità di carico, sono cresciuti nel complesso dei principali porti italiani, anche in periodi di congiuntura riflessiva e dovendo nel frattempo far fronte alla accresciuta concorrenza straniera. Non è banale rammentare che il porto costituisce il luogo ove avviene, per volumi molto consistenti di merci, il cambio di modalità trasportistica, da marittima a terrestre (in grande prevalenza camion rispetto a treno) e viceversa. Cioè i porti sono in assoluto i principali nodi dell’intermodalismo e possono vedere pure implementato il loro compito di assicurare, attraverso l’expertise dei soggetti che ivi operano, servizi primari e di supporto ai vari operatori dell’intermodalismo e della catena logistica. Dato atto dell’importanza dei traffici container e Ro-Ro (merci e passeggeri), non va peraltro dimenticato che, malgrado le delocalizzazioni manifatturiere avvenute negli ultimi vent’anni, ancora viva e strategica risulta la funzione industriale rivestita da parecchi terminali portuali, al servizio di attività manifatturiere insediate in porto o in zone ad esso finitime (es. terminal rinfuse solide o liquide ubicati a Genova, Venezia, Taranto, Livorno, Piombino, Augusta, ecc., solo per citarne alcuni), oppure quali snodi delle forniture di energia per usi industriali e civili nell’hinterland o regioni anche lontani (es. terminal petroli di Genova, di Trieste, di Cagliari-Sarroch, terminal gas di Spezia, ecc.). Pertanto l’efficienza e la sicura funzionalità di questi siti va costantemente mantenuta. Nell’ambito del ridisegno delle reti europee TEN-T, appare fondamentale traguardare queste reti in una logica mediterranea, anche per consentire ai nostri porti di servire meglio l’Europa da Sud, di rafforzare la loro funzione di gateway dei traffici con il Far East asiatico e i collegamenti via mare con i Paesi dell’area Sud mediterranea, a partire da quelli africani, i cui flussi verso l’Europa sono previsti in aumento nei prossimi anni.
Investimenti e supporto normativo
In considerazione dell’attuale stasi e carenza di risorse e di investimenti, si ritiene utile configurare un piano di investimenti pubblici (magari associati a quelli privati) molto mirato, quindi oggettivamente motivato, su alcuni porti considerati strategici in funzione della logistica del nostro sistema Paese. Difatti da parecchi anni ormai lo Stato non stanzia nuove risorse per i porti e ha sostanzialmente cancellato quelle per le manutenzioni. Va da sé che occorre rendere appetibile per i terminalisti e le imprese portuali private effettuare nuovi investimenti negli ambiti portuali, sia per migliorare le dotazioni strutturali, sia nella prospettiva di potenziare quelle infrastrutturali. Però le norme e gli strumenti in essere e neppure le proposte desumibili dai Disegni di Legge del Senato e Governativo circa il riordino della portualità danno risposte atte a rendere conveniente per il privato un investimento in strutture fisse o di difficile rimozione nei porti italiani, interventi dei quali da tempo se ne avverte il bisogno. Se si vuole andare nella direzione giusta, per stimolare questi investimenti privati, occorre quindi agire sia in termini di prolungamento della durata delle concessioni, sia in termini di riduzione dei canoni concessori, e qualsiasi processo di riforma della portualità se vuole essere incisivo dovrà contenere dette previsioni. In questo senso Assiterminal ha da tempo presentato proposte, nel rispetto degli assetti istituzionali ed operativi esistenti. In linea generale occorre poi perseguire una forte semplificazione normativa, che va accompagnata da uno snellimento delle procedure, non solo di quelle doganali, e da una sburocratizzazione ed accelerazione dei vari processi, sia autorizzativi, sia di controllo ed amministrativi (cioè ridurre i vincoli burocratici), rafforzare le politiche per la comodalità trasportistica, ridurre la fiscalità sul costo del lavoro delle imprese. In questa direzione va ricordato che il cluster marittimo portuale un anno e mezzo fa ha chiesto al Governo la riduzione per tre anni di 5 punti degli oneri sociali gravanti sul costo del lavoro a carico delle imprese portuali, onde consentire di affrontare la crisi economica internazionale, che ha prodotto negativi effetti sulle attività svolte dalle medesime aziende. Purtroppo a tutt’oggi detta richiesta come altre di natura congiunturale e strutturale a favore della portualità sono state disattese dal Governo. Auguriamoci, tuttavia, che presto venga rimossa questa disattenzione politica verso il settore portuale, nell’interesse dell’economia del Paese. Nel contempo, per accrescere la quota di mercato della logistica italiana occorre raggiungere una maggiore efficienza dell’intera catena logistica, da origine a destino, compreso il cosiddetto «ultimo miglio » e un miglioramento della fluidità della catena medesima in tutti i suoi passaggi.
L’Assiterminal
Luigi Robba