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Un’inversione di rotta per il trasporto marittimo

Paolo d'Amico

Paolo d'Amico

di Paolo d’Amico • Il mare, quale vettore per il movimento di merci e turisti, ricopre un ruolo strategico del trasporto marittimo nel complesso scacchiere dell’economia nazionale ed internazionale. Urge una politica di sostegno e di valorizzazione

Quanti sanno che il 90% di tutte le merci necessarie alla vita quotidiana ed all’attività industriale viaggiano via mare? Quanti sono consapevoli del fatto che, con circa 16 miliardi di euro, il trasporto marittimo in Italia rappresenta oltre il 50% del contributo al PIL dell’intero cluster marittimo?

Oggi, in un mondo sempre più globalizzato ove mercati e sistemi produttivi sono sempre più delocalizzati, il trasporto marittimo contribuisce a mettere in rete l’economia di un Paese, giocando un ruolo essenziale soprattutto in Italia, da sempre grande importatore di materie prime ed esportatore di manufatti che, con 255 milioni di tonnellate di merci, è al primo posto nell’importexport marittimo dell’Unione Europea.

Merci e turismo

Sono numerosi gli aspetti della vita quotidiana che dipendono dal trasporto marittimo. Basti pensare all’energia e a tutte le principali materie prime: petrolio, carbone, cereali giungono nel nostro Paese esclusivamente a bordo di navi. Ma pensiamo anche al turismo. In controtendenza rispetto a quello terrestre, che negli ultimi decenni ha visto l’Italia continuare a perdere posizioni nella classifica per arrivi internazionali, il «turismo che viene dal mare» registra trend di crescita notevoli. In dieci anni, il movimento dei passeggeri a bordo di navi da crociera nei porti italiani è aumentato del 350%, superando gli 8,5 milioni all’anno.

A questi si aggiungono i 30 milioni di turisti trasportati dai nostri moderni e confortevoli traghetti, che continuano a registrare performance di assoluto rilievo riuscendo a coniugare la sostenibilità ambientale con una crescente richiesta di mobilità, non solo turistica, ad elevato contenuto qualitativo. Non bisogna dimenticare, infatti, l’importante ruolo di collegamento con le isole svolto dai nostri traghetti che garantiscono e assicurano la continuità territoriale.

Risvolti occupazionali

Lo shipping è quindi un settore vivo, sempre in fermento, aperto all’innovazione e fortemente internazionalizzato nel quale la componente formativo-occupazionale riveste un ruolo fondamentale. Le nostre navi impiegano oltre 50.000 addetti diretti e trainano un comparto che dà lavoro a più di 400 mila persone. Navi che, grazie agli ingenti investimenti effettuati nell’ultimo decennio, oltre 27 miliardi di euro, sono sempre più grandi, tecnologicamente avanzate e sicure e richiedono quindi personale altamente qualificato, sia a bordo che a terra. Tali investimenti hanno portato la consistenza della nostra flotta di bandiera a oltre 16 milioni di tonnellate di stazza, facendoci raggiungere i primi posti nelle graduatorie mondiali in varie tipologie di naviglio. Penso alle crociere, alle chimichiere e ai traghetti Ro-Ro che registrano anche quest’anno il primato mondiale.

La flotta italiana di navi mercantili è stata in gran parte rinnovata ed oggi il 57% del nostro naviglio ha meno di dieci anni. Un ringiovanimento partito dalle navi cisterna, ma che interessa anche portarinfuse secche, traghetti, navi da crociera e tutti gli altri tipi di nave. Una flotta giovane e avanzata, in grado di soddisfare le esigenze dell’industria ed attenta alla salvaguardia dell’ambiente e alla sicurezza della navigazione. Tutto ciò è il risultato di un grande lavoro che ha visto impegnati sullo stesso fronte istituzioni politiche, armatori e organizzazioni sindacali e che ha prodotto in 10 anni una rivoluzione nello shipping italiano.

Il rilancio competitivo della nostra flotta è infatti da attribuire alla riforma della navigazione internazionale avviata nel 1998 con l’approvazione della legge n.30, istitutiva del Registro Internazionale Italiano e proseguita con l’introduzione della «Tonnage tax». Tale istituto (il Registro Internazionale) è stato predisposto grazie alla lungimiranza delle istituzioni comunitarie che, ritenendo il settore marittimo elemento fondamentale delle presenti e future strategie economiche dell’Unione Europea, hanno delineato agli Stati membri le linee di intervento in ambito nazionale.

Con lo sviluppo della flotta italiana, sono cresciuti gli impegni e i problemi da risolvere, anche perché il nostro mondo impone standard di marcia velocissimi che non permettono cali di attenzione a tutti i livelli: politico, amministrativo ed operativo, pena la rapida estromissione dai mercati che contano.

Ruolo delle istituzioni e limiti burocratici e normativi

In tale contesto, un ruolo determinante viene giocato dalle Istituzioni che sono chiamate a creare e favorire le condizioni per operare ad armi pari con i diretti concorrenti.

In particolare, in periodi di crisi, l’unica strada praticabile è quella di puntare sui settori trainanti, adottando quelle riforme, anche a costo zero per l’erario, che rappresenterebbero un volano per l’intera economia.

Basti pensare al pesante carico della burocrazia italiana. Per il comparto marittimo i costi medi degli ostacoli e lungaggini burocratiche, sono ingenti. Basti pensare che, nel caso oggi usuale, di presa in consegna di una nuova unità costruita in un cantiere estero, le lentezze burocratiche costano all’armatore italiano più di 100.000 euro a nave!

Non solo, spesso il grande impegno profuso per la formazione di personale italiano qualificato, si scontra con la permanenza nel nostro ordinamento di normative anacronistiche che in certi casi impediscono al personale regolarmente formato secondo i migliori standard internazionali di essere regolarmente imbarcato. Inoltre, è fondamentale che il Governo riprenda una effettiva politica marittima mediterranea.

L’Italia è una grande economia collocata al centro del bacino mediterraneo e può competere, per assumere il ruolo di leader nell’area, con Francia e Spagna. Nel Mediterraneo si giocheranno partite determinanti sulla portualità, sul cabotaggio, sulle Autostrade del Mare e sulle crociere. In tale contesto si inserisce il problema della pirateria che tanto clamore ha suscitato negli ultimi tempi ma che appare lontano da una risoluzione definitiva. Infatti, una delle rotte più importanti, quella che collega l’Europa con il Far East, passa al largo del Corno d’Africa, dove si registrano oltre 22.000 transiti l’anno, dei quali circa 2.000 sono riferibili a interessi italiani e ben 600 interessano bandiera italiana. Lungo questa rotta passa il 15% delle merci e ben il 30% dei carichi di petrolio mondiali. ONU e UE sono intervenuti a più riprese: autorizzando gli Stati che cooperano con il Governo Federale di Transizione somalo, a entrare nelle acque territoriali della Somalia e a utilizzare tutti i mezzi necessari per reprimere gli atti di pirateria e le rapine a mano armata in mare, e con l’invio della missione Atalanta, la prima forza militare navale congiunta dei Paesi comunitari.

In conclusione, appare evidente l’importanza del ruolo strategico giocato dal trasporto marittimo nel complesso scacchiere dell’economia nazionale ed internazionale, che vede mercati e luoghi di produzione geograficamente sempre più lontani ma, grazie alle navi, economicamente sempre più vicini.

È quindi necessaria, oggi più che mai, un’inversione di rotta. Se vogliamo traghettare il Paese fuori dalla crisi, la politica deve operare con lungimiranza, tagliando gli sprechi e valorizzando i settori che possono assicurare nuova linfa all’economia.

 

Paolo d’Amico

Presidente Confederazione Italiana Armatori
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