di Roberta Di Giuli • La diminuzione degli squali, ormai entrati di diritto nell’allarmante categoria «a rischio d’estinzione», mette seriamente in pericolo gli ecosistemi marini e la catena alimentare nel Mediterraneo e nel Mar Nero
•• Nel Mediterraneo e nel Mar Nero gli squali sono a rischio d’estinzione, con serie implicazioni per l’intero ecosistema marino e la catena alimentare della zona. È l’allarme lanciato da un nuovo studio della FAO intitolato «Elasmobranchs of the Mediterranean and Black Sea: Status, Ecology and Biology». Il «trend di diminuzione», registrato per il Mar Mediterraneo negli ultimi duecento anni, riporta uno sconvolgente meno 97%. “Adesso”, si legge nel rapporto, gli squali “sono a rischio d’estinzione se la pressione esercitata dalla pesca continua”. Grave anche la situazione del Mar Nero. Nonostante le informazioni siano scarse, le catture delle principali specie di squalo si sono circa dimezzate a partire dall’inizio degli anni ’90.
Lo studio condotto dalla Commissione Generale della Pesca per il Mediterraneo, uno dei diversi organismi regionali della FAO che lavora nel settore pesca, afferma: “Questa perdita di predatori potrebbe avere serie implicazioni per l’intero ecosistema marino, con gravi conseguenze per le reti alimentari della regione“. Lo studio ha scoperto che le specie di pesci cartilaginei, come gli squali e le razze, rappresentano “il gruppo di pesci marini più a rischio d’estinzione nel Mediterraneo e nel Mar Nero”, dove si contano e si conoscono circa 85 specie. Delle 71 specie stimate nel Mar Mediterraneo nel 2007, 30 di esse (vale a dire il 42%) sono oggi state definite «sotto minaccia», tra queste il 13% sono catalogate “in condizioni critiche di estinzione”, l’11% «a rischio» ed il 13% «vulnerabili». Un altro 18% è stato definito «quasi minacciato».
Caratteristiche biologiche, fattore di vulnerabilità
I pesci cartilaginei rappresentano una specie particolarmente vulnerabile. Lo studio della FAO ci spiega perché. Innanzitutto vengono chiamati «cartilaginei» perché hanno lo scheletro fatto di cartilagine piuttosto che di lische. All’interno di questo gruppo, gli squali e le razze sono denominati scientificamente «Elasmobranchii». Le loro caratteristiche biologiche, tra cui il basso tasso di fecondità, una maturità tardiva e la crescita lenta, li rendono più vulnerabili rispetto ai pesci con le lische, poiché i loro tassi di rigenerazione sono più lenti. È per questi motivi che questioni come la pesca eccessiva, un largo impiego di pratiche di pesca non selettive ed il degrado dell’habitat colpiscono queste specie più di altre. In linea generale, gli squali e le razze non sono oggetto di pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero, ma sono catturati casualmente. Gli sbarchi annuali di pesca segnalati in questi due bacini ammontano al momento a circa 7.000 tonnellate, rispetto alle 25.000 tonnellate del 1985. Il dato rappresenta una chiara indicazione della gravità del declino. Attualmente – comunque e purtroppo – la pesca degli squali si sta effettivamente intensificando per rispondere alla domanda crescente di pinne, carne e cartilagine di squalo.
Valutare per recuperare
L’habitat marino dove insistono gli squali è messo a dura prova di «resistenza» per via di altri fattori di disturbo. Interferenze negative sono il traffico delle navi, le costruzioni sottomarine, i prodotti chimici, il suono e la contaminazione elettromagnetica.
La Commissione Pesca della FAO ha adottato misure recenti per proteggere gli squali e le razze: proibizione dello «spinnamento», – vale da dire la pratica di asportare le pinne in mare e gettare le carcasse – riduzione e confinamento della pesca a strascico a 3 miglia nautiche dalla costa per rafforzare la protezione degli squali costieri; inoltre ha espresso un invito ai Paesi del Mediterraneo e del Mar Nero ad investire in programmi di ricerca scientifica tesi a identificare possibili aree vivaio e a prendere in considerazione la possibilità di aree chiuse e periodi di ferma per proteggere il novellame di squali e razze dalle attività di pesca. Tra le altre iniziative, la Commissione ha organizzato incontri e corsi per meglio comprendere queste specie ed i loro habitat e per creare un ambito di riferimento di conoscenza regionale. L’obiettivo è fornire uno strumento che possa guidare i Paesi membri della Commissione nello sviluppo di piani in difesa di una specie, come tutte, “irrinunciabile”.
Roberta Di Giuli







































