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Il respiro di GAIA

foresta

Gli alberi sono amici silenziosi dell’uomo, forniscono ossigeno, purificano l’aria, donano ombra nei caldi mesi estivi. Le deforestazioni e gli incendi contribuiscono all’aumento dell’effetto serra, che procede a ritmi sempre più veloci. È notizia di questi giorni che La Svalbard Global Seed Vault, la banca mondiale dei semi, a cui abbiamo affidato parte della sicurezza alimentare del mondo, si è allagata a causa del riscaldamento globale. L’enorme «magazzino», progettato per proteggere da eventuali catastrofi i semi, da cui dipende la nostra alimentazione, si è allagato. La fortezza costruita dagli uomini per salvare la biodiversità alimentare è stata violata a causa dei cambiamenti climatici. Si sta sciogliendo il permafrost. Le soluzioni sono non produrre più anidride carbonica con le attività umane e piantare tanti, tanti alberi 

James Lovelock è uno scienziato diventato famoso per avere proposto una teoria che avrebbe rivoluzionato la concezione dell’ecologia, della scienza e del futuro. Era l’idea di GAIA1, l’ipotesi secondo cui la Terra è un unico, immenso organismo vivente, in grado di autoregolarsi, formulata nel 1972. Essa suggerisce l’esistenza di un sistema, GAIA, come totalità che detta le regole, che la somma di tutte le reazioni complesse tra vita, atmosfera, rocce e acqua producono l’entità planetaria in evoluzione e autoregolamentazione che ha conservato condizioni abitabili sulla superficie del Pianeta per lunghe ere geologiche. Lovelock già nel 1965 rifletteva sul fatto che l’atmosfera della Terra fosse una straordinaria e instabile miscela di gas, rimasta costante nella composizione per lunghi periodi di tempo. Ebbe due intuizioni:

nel corso dell’era geologica la vita aveva regolato la composizione dell’atmosfera;

la vita aveva anche regolato la temperatura del Pianeta.

Tali intuizioni furono poi da lui tradotte in un’ipotesi scientifica. L’ipotesi di Gaia molto lentamente è diventata una teoria, supportata da modelli matematici. Fino al 1988 l’attenzione della comunità scientifica internazionale era rivolta alla diminuzione dello strato di ozono nella stratosfera (il famoso “buco dell’ozono”).

Un prezioso collaboratore di Lovelock è Stephan Harding2. Ha fatto parte del gruppo di lavoro che ha teorizzato l’ipotesi di GAIA con modelli matematici. Nel suo libro Terra Vivente. Scienza, intuizione e GAIA, spiega molto bene sia la visione che le difficoltà nel far accettare questa ipotesi a colleghi e scienziati.

Lo stesso James Lovelock riporta che il mondo scientifico internazionale ha accettato la Teoria di GAIA nel 2001, con una dichiarazione sottoscritta dagli scienziati impegnati nei grandi programmi di ricerca sui cambiamenti climatici:

«Il Sistema Terra si comporta come un singolo sistema, capace di auto-regolazione, costituito da componenti fisiche, chimiche, biologiche e umane. Le interazioni e le retroazioni tra le parti componenti sono complesse e presentano una variabilità temporale e spaziale a scale diverse».3

Nel 1989 nacquero lo World Meteorological Organization (WMO) e subito dopo lo United Nation Environment Programme (UNEP), sotto la presidenza del prof. Berr Bolin, dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).

Nel 1992, all’Earth Summit della Terra a Rio de Janeiro, in Brasile, dopo una lunga trattativa ed una ricca serie di incontri internazionali, furono prese misure restrittive per eliminare e sostituire i clorofluorocarburi (CFC) che danneggiano l’ozono stratosferico. Tale accordo ha segnato una svolta epocale, per la prima volta nella storia si è deciso di cambiare tutti i processi industriali per gli impianti di refrigerazione.

A Rio non ci fu invece l’intesa per ridurre i gas responsabili dell’effetto serra, i tempi non erano ancora maturi per un accordo di tale entità che avrebbe cambiato non solo tutto il sistema economico e industriale della Terra, basato sul consumo dei combustibili fossili, ma anche abitudini e stili di vita troppo energivori. Tuttavia la metodologia, quella di giungere ad accordi internazionali vincolanti condivisi, era ormai tracciata.

Sono proseguiti gli studi sul cambiamento climatico, con monitoraggi continui sulla composizione chimica dell’atmosfera. I grafici però mostrano nettamente quello che sta succedendo.

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Il grafico della figura 1 mostra che l’aumento dell’anidride carbonica è iniziato a crescere esponenzialmente dal 1769. Cosa è successo in quell’anno? Ci fu la scoperta del motore a vapore e quindi dell’utilizzo del carbone. La data 1769 segna inequivocabilmente la svolta con il primo combustibile fossile. Si è iniziato a bruciare tanto carbone e la natura non riesce poi a riassorbire le emissioni dovute alle emissioni prodotte dalle attività umane. Poi si è scoperto il petrolio, si è cominciato a bruciarlo ed a trasformalo nei suoi derivati. Nell’ultimo periodo nel XX secolo si è iniziato a utilizzare in maniera sistematica anche il metano. Da quel fatidico 1769 la crescita dell’anidride carbonica non si arresta.

Se si ingrandisce il dettaglio, su un periodo più limitato, per esempio nel periodo 1960-2016, si può studiare meglio l’andamento.

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I grafici del National Oceanic and Atmospheric Administration, U.S. Department of Commerce (NOAA) mostrano l’aumento della concentrazione di anidride carbonica. L’andamento non è lineare, bensì sinusoidale. Andando a ingrandire il dettaglio si vede ancora più netta la curva.

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Perché l’andamento è sinusoidale? La risposta si trova nel ciclo stagionale della natura. Circa i tre quarti delle terre emerse sono nell’emisfero boreale. Quando è primavera ed estate sopra l’equatore gli alberi latifoglie si riempiono di foglie e assorbono anidride carbonica e la curva scende. Quando invece a nord è autunno e inverno gli alberi si spogliano delle foglie e le piante dell’emisfero australe non riescono ad assorbire le emissioni antropiche e la curva risale. Da un anno all’altro il picco sale a valori sempre più alti, proprio perché la natura non riesce ad assorbire completamente le emissioni prodotte dalle attività umane. La sinusoide della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera rappresenta una sorta di «respiro di Gaia».

A peggiorare le cose c’è un altro gas, il metano (CH4). Il metano entra in atmosfera in parte per perdite, a livello estrattivo e distributivo (componente antropica), in parte perché sta iniziando a sciogliersi il permafrost (componente naturale) liberandolo. L’anidride carbonica ed il metano sono due potenti gas serra. Per il metano la misurazione della concentrazione è in parti per bilione, anziché per milione (come per la CO2), ma il grafico indica la crescita di questo potente gas serra, 21 volte peggiore dell’anidride carbonica. Con il tempo si combina con l’ossigeno e si trasforma in anidride carbonica. Il tempo di dimezzamento dell’anidride carbonica nell’atmosfera è di cento anni. La regione artica è una delle tante risorse naturali minori di questo gas serra che è il metano. Il riscaldamento globale può accelerare la sua immissione nell’atmosfera a causa sia del rilascio dai magazzini di metano esistenti, sia dalla metanogenesi della biomassa in putrefazione. Grandi quantità di metano sono immagazzinate nell’Artico in depositi di gas naturale, permafrost e come clatrati sottomarini. Il permafrost e i clatrati degradano con il calore, perciò grandi rilasci di metano da queste sorgenti possono contribuire al riscaldamento globale. Altre fonti di metano comprendono i talik sottomarini, il trasporto fluviale, il ritiro dei ghiacciai, il permafrost sottomarino e il deterioramento dei depositi di gas idrati.

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L’uso delle nuove tecniche di fratturazione delle faglie e di estrazione di petrolio e metano non convenzionali, dagli scisti bituminosi e dalle argille, sono molto impattanti: miniere a cielo aperto, distruzione della tundra e della biodiversità, inquinamento delle falde acquifere. Tutto questo senza pensare ai danni e alle conseguenze per la natura e per le generazioni che verranno.

James Hansen illustra molto bene cos’è l’effetto serra: “Cosa potrò mai sapere che potrebbe portare me, un reticente scienziato del midwest, a essere arrestato mentre protesto davanti alla Casa Bianca? E cosa fareste voi se sapeste quello che so io? Cominciamo da come sono arrivato a questo punto. Sono stato fortunato a crescere in un periodo in cui non era difficile per il figlio di un agricoltore riuscire a entrare all’università.

E sono stato molto fortunato ad essere andato alla University of Iowa dove ho potuto studiare con il prof. James Van Allen che ha costruito strumenti per i primi satelliti statunitensi. Il prof. Van Allen mi disse, parlando delle osservazioni di Venere, che c’era una intensa radiazione di microonde. Voleva dire che Venere ha una ionosfera? O che Venere era estremamente caldo? La risposta corretta, confermata dalla sonda russa Venera, era che Venere era molto caldo, 480 gradi Celsius. Ed era mantenuto caldo da una spessa atmosfera di anidride carbonica.

Sono stato fortunato ad entrare alla NASA e ad aver proposto con successo un esperimento per arrivare su Venere. Il nostro strumento ha fatto questa foto del velo di Venere, che è risultato essere una spessa nebbia di acido solforico. Ma mentre il nostro strumento veniva costruito, sono stato coinvolto nei calcoli sull’effetto serra qui sulla Terra poiché ci siamo accorti che la nostra composizione atmosferica stava cambiando. Ho finito con il dare le dimissioni da studioso principale del nostro esperimento su Venere perché un pianeta in cambiamento davanti ai nostri occhi è più interessante e più importante. I suoi cambiamenti coinvolgeranno tutta l’umanità.

L’effetto serra era conosciuto molto bene da più di un secolo. Il fisico britannico John Tyndall, intorno al 1850, compì misurazioni in laboratorio della radiazione infrarossa, che è calore. E dimostrò che gas come la CO2 assorbono calore, agendo come una coperta che riscalda la superficie della Terra.

Ho lavorato con altri scienziati per analizzare le osservazioni sul clima della Terra. Nel 1981, pubblicammo un articolo su Science concludendo che il riscaldamento registrato di 0,4 gradi Celsius durante il secolo precedente era coerente con l’effetto serra causato da un aumento di CO2. La Terra si sarebbe probabilmente scaldata negli anni ’80, e questo riscaldamento avrebbe ecceduto il rumore di fondo casuale del tempo entro la fine del secolo. Abbiamo anche previsto che il ventunesimo secolo avrebbe visto lo spostamento delle zone climatiche, la creazione di regioni a rischio siccità in Nord America e Asia, l’erosione dei ghiacciai, l’innalzamento dei livelli dei mari e l’apertura del famigerato Passaggio a Nord Ovest. Da allora, tutti questi impatti sono già realmente accaduti o lo saranno tra poco.

Quello studio fu riportato sulla prima pagina del New York Times e mi portò a testimoniare al Congresso negli anni ’80, udienza in cui enfatizzai che il riscaldamento globale esaspera entrambi gli estremi del ciclo dell’acqua sulla Terra. Ondate di calore e siccità da una parte, direttamente dal riscaldamento, e inoltre, considerato che un’atmosfera più calda trattiene più vapore acqueo e la sua energia latente, le piogge arriveranno in eventi di maggiore potenza. I temporali sono più forti e le inondazioni più severe. La bagarre del riscaldamento globale portava via molto tempo e mi distraeva dalla ricerca scientifica, in parte perché avevo denunciato il fatto che la Casa Bianca aveva alterato la mia testimonianza. Quindi decisi di ritornare a occuparmi solo di scienza e lasciare la comunicazione agli altri.

Ma 15 anni dopo, le prove sul riscaldamento globale erano molto più forti. La maggior parte di ciò a cui accennavamo nello studio del 1981 erano ormai fatti accertati. Ebbi il privilegio di parlare due volte alla task force del presidente sul clima. Ma le politiche energetiche continuarono a concentrarsi sulla ricerca di più combustibili fossili. Poi sono nati i miei due nipoti, Sophie e Connor, e ho deciso che non volevo che in futuro dicessero: “Il nonno aveva capito cosa stava succedendo, ma non è riuscito a spiegarsi bene”. Decisi quindi di tenere una conferenza pubblica per criticare la mancanza di una politica energetica appropriata.

Parlai alla University of Iowa nel 2004 e alla conferenza del 2005 della American Geophysical Union. Questo portò a telefonate da parte della Casa Bianca e dal quartier generale della NASA e mi venne detto che non potevo fare discorsi o parlare con i media senza previo esplicito consenso dei vertici della NASA. Dopo che ebbi informato il New York Times di queste restrizioni, la NASA fu costretta a interrompere la censura. Ma ci furono delle conseguenze. Avevo sempre usato la prima riga della dichiarazione di intenti della NASA, “Per capire e proteggere il nostro Pianeta”, per giustificare i miei interventi. Molto presto la prima riga della dichiarazione fu cancellata, per mai più riapparire.

Nel corso degli anni seguenti mi sono concentrato sempre più sul cercare di comunicare l’urgenza di un cambiamento nelle politiche energetiche, sempre continuando a studiare la fisica dei cambiamenti climatici. Vorrei descrivervi la conclusione fisica più importante, prima dal punto di vista del bilancio energetico, e poi da quello della storia del clima della Terra.

Aggiungere CO2 nell’aria sarebbe come aggiungere una coperta sul letto. Ridurrebbe la radiazione della Terra verso lo spazio, creando un temporaneo squilibrio energetico. Arriva più energia di quella espulsa, fino a che la Terra non si scalda abbastanza da irradiare nello spazio tanta energia quanta ne assorbe dal Sole. La quantità chiave è lo squilibrio energetico della Terra. Entra più energia di quanta ne esca? Se è così, ci aspetta un aumento della temperatura. E succederà anche senza aggiungere altri gas serra.

Ora, finalmente possiamo misurare con precisione lo squilibrio energetico della Terra misurando il calore contenuto nelle riserve di calore del Pianeta. La riserva più grande, l’oceano, era quella peggio misurata fino a che più di tremila boe Argo non sono state distribuite negli oceani del mondo. Queste boe rivelano che la metà superiore dell’oceano sta acquisendo calore ad un ritmo sostanziale. Anche le profondità oceaniche stanno acquisendo calore a ritmo più lento, e questa energia finisce per contribuire allo scioglimento dei ghiacci intorno al mondo. Anche la Terra, fino a profondità di decine di metri, si sta riscaldando.

Il totale squilibrio energetico, al momento, è di circa sei decimi di watt per metro quadro. Può non sembrare molto, ma sommato per tutto il mondo è una cifra enorme. È circa 20 volte più grande del tasso di energia usata dall’Umanità intera. È equivalente all’esplosione di 400.000 bombe di Hiroshima al giorno 365 giorni all’anno. Ecco quanta energia extra sta accumulando la Terra ogni giorno. Questo squilibrio, se vogliamo stabilizzare il clima, significa che dobbiamo ridurre la CO2 da 391 ppm, parti per milione, a 350 ppm. Questo è il cambiamento necessario a ristabilire l’equilibrio e prevenire un ulteriore riscaldamento.

I detrattori del cambiamento climatico sostengono che il Sole sia la causa principale. Ma lo sbilanciamento energetico è stato misurato durante il picco minimo del Sole di cui abbiamo notizia, quando l’energia del Sole che raggiungeva la Terra era al minimo. E comunque c’era più energia in entrata che in uscita. Questo dimostra come l’effetto del Sole sulle variazioni del clima sia minimo rispetto all’aumento dei gas serra, principalmente causato dai combustibili fossili. Consideriamo la storia del clima della Terra.

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Questi grafici sulla temperatura globale, sulla CO2 nell’atmosfera e sui livelli dei mari derivano da misurazioni negli oceani e dai ghiacci dell’Antartide, dai sedimenti oceanici e dai fiocchi di neve accumulatisi anni dopo anno per 800mila anni formando uno strato di ghiaccio spesso due miglia. E come vedete c’è una stretta correlazione tra temperatura, CO2 e livelli del mare. Esami accurati mostrano che cambiamenti in temperatura anticipano quelli di CO2 di qualche secolo. Chi nega i cambiamenti climatici usa questo fatto per confondere e ingannare il pubblico dicendo: “Visto? La temperatura causa l’aumento di CO2, non viceversa”. Ma quel ritardo è esattamente quello che ci si aspetta.

Piccoli cambiamenti nell’orbita della Terra che avvengono nell’arco di centinaia di migliaia di anni alterano la distribuzione della luce solare sulla Terra. Dove arriva più luce, ad alte latitudini d’estate, i ghiacci si sciolgono. I ghiacci che si riducono rendono il pianeta più scuro, facendogli assorbire più luce e rendendolo più caldo. Un oceano più caldo rilascia CO2, esattamente come una Coca-Cola calda. E più CO2 causa più riscaldamento. CO2, metano e ghiacci erano feedback che hanno amplificato i cambiamenti globali di temperatura rendendo enormi queste antiche fluttuazioni del clima, anche se il cambiamento è cominciato grazie a un debole intervento.

Il punto importante è che gli stessi feedback amplificanti accadranno oggi. La fisica non cambia. Quando la Terra si riscalda, stavolta per la CO2 in eccesso che rilasciamo nell’atmosfera, il ghiaccio si scioglie, CO2 e metano verranno rilasciati da oceani caldi e permafrost che si scioglie. Ma anche se non possiamo dire esattamente quanto velocemente si verificheranno questi feedback, è certo che accadranno a meno che non fermiamo il riscaldamento. Ci sono le prove che dimostrano come questo sia già iniziato. Misurazioni precise di GRACE, un satellite gravitazionale, rivelano come sia la Groenlandia che l’Antartide stanno perdendo massa, molte centinaia di km cubi all’anno. E il tasso è accelerato da quando sono iniziate le misurazioni nove anni fa. Anche il metano sta cominciando a uscire dal permafrost.

Che innalzamento del mare possiamo aspettarci? L’ultima volta che la CO2 era a 390 ppm, il valore odierno, il livello del mare era più alto di almeno 15 metri, 50 piedi. Dove siete seduti adesso sarebbe sott’acqua. Molte previsioni dicono che questo secolo avremo almeno un metro in più. Io penso che sarà di più se continuiamo a bruciare combustibili fossili, forse fino a 5 metri, 18 piedi, entro questo secolo o poco più.

Un punto importante è che avremo dato inizio a un processo su cui l’uomo non ha alcun controllo. I ghiacci continueranno a disintegrarsi per secoli. Non ci sarà più una costa stabile. Le conseguenze economiche sono quasi inimmaginabili. Centinaia di devastazioni come quella di New Orleans intorno al mondo. Da condannare ancora di più, se il rifiuto di affrontare l’argomento continua, è lo sterminio delle specie. La farfalla monarca potrebbe essere tra il 20 e il 50% di tutte le specie che l’Intergovernmental Panel on Climate Change stima saranno destinate all’estinzione entro la fine del secolo se continuiamo con il solito uso di combustibili fossili

Le persone stanno già subendo il riscaldamento globale. Le ondate di calore lo scorso anno in Texas, Oklahoma e Messico, a Mosca l’anno precedente e in Europa nel 2003, sono stati tutti eventi eccezionali, più di tre deviazioni standard fuori dalla norma. Cinquant’anni fa anomalie come queste riguardavano solo due o tre decimi dell’1% delle terre emerse. In anni recenti, a causa del riscaldamento globale, coprono circa il 10%, una crescita di un fattore dal 25 al 50. Quindi possiamo dire con grande sicurezza che le ondate di calore in Texas e a Mosca non erano naturali; sono state causate dal riscaldamento globale. Un impatto importante, se il riscaldamento continua, colpirà il granaio del nostro paese e del mondo, il Midwest e le Great Plains, che è previsto diverranno inclini a siccità estreme peggiori del Dust Bowl, entro alcuni decenni, se lasciamo che il riscaldamento continui.

Come mi hanno trascinato sempre più a fondo in questo tentativo di comunicazione tenendo conferenze in 10 Paesi, venendo arrestato, e consumando le ferie che avevo accumulato in più di 30 anni? I nipoti in aumento mi hanno aiutato. Jake è un bimbo entusiasta e sempre positivo. Qui, all’età di due anni e mezzo, pensa di poter proteggere la sua sorellina di due giorni e mezzo. Sarebbe immorale lasciare a questi giovani un sistema climatico che sta sfuggendo al controllo.

La vera tragedia dei cambiamenti climatici è che potremmo risolverli con un approccio semplice, onesto; una carbon tax in graduale aumento pagata dalle compagnie produttrici di combustibili fossili e distribuita al 100% in forma elettronica ogni mese a tutti i residenti su una base pro capite, in modo che il governo non guadagni nulla. La maggior parte delle persone incasserebbe di più da questi dividendi di quello che pagherebbe in aumenti di prezzo. Queste tasse, questi dividendi stimolerebbero l’economia e le innovazioni, creando milioni di posti di lavoro. È il requisito principale per spostarci rapidamente verso un futuro a energia pulita.

Molti importanti economisti sono co-autori di questa proposta. Jim DiPeso dell’associazione Republicans for Environmental Protection la descrive bene: “Trasparente. Basata sul mercato. Non aumenta la presenza del governo. Lascia le decisioni energetiche a scelte individuali. Sembra proprio un piano energetico conservatore”.

Ma invece che applicare una tassa crescente sulle emissioni in modo da far pagare ai combustibili fossili il loro vero costo per la società, i nostri governi costringono la popolazione a finanziare i combustibili fossili con 400 – 500 miliardi di dollari ogni anno in tutto il mondo, incoraggiando quindi l’estrazione di ogni combustibile fossile, la distruzione delle montagne, le miniere a muro, la fratturazione idraulica, le sabbie e gli scisti bituminosi, le perforazioni profonde nell’oceano Artico. Questa strada, se seguita, garantisce che supereremo il punto critico sulla via della distruzione dei ghiacciai che sfuggirà al controllo delle prossime generazioni. Una grande parte di tutte le specie sarà condannata all’estinzione. L’intensità crescente di siccità e inondazioni comprometterà seriamente i granai del mondo, causando massicce carestie e declino economico. Immaginate un asteroide gigante in rotta di collisione con la Terra.

È equivalente a quello che affrontiamo oggi. E invece esitiamo, non facciamo niente per deviare l’asteroide anche se, più aspettiamo, più diventa difficile e costoso fare qualcosa. Se avessimo cominciato nel 2005, ci sarebbe stato bisogno di una riduzione di emissioni del 3% annuo per ripristinare l’equilibrio energetico del pianeta e stabilizzare il clima in questo secolo. Se cominciamo l’anno prossimo, sarà necessario il 6%. Se aspettiamo 10 anni, sarà un 15% all’anno… estremamente difficile e costoso, forse impossibile. Ma non stiamo neanche cominciando.

Ora sapete quello che so io e che mi spinge a dare questo allarme. Chiaramente non sono ancora riuscito a far arrivare il messaggio. La scienza è chiara. Ho bisogno del vostro aiuto per comunicare la gravità e l’urgenza di questa situazione e le possibili soluzioni più efficacemente. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti.».4

Questo breve discorso di Hansen fornisce una corretta informazione scientifica sui fenomeni in atto. Dai grafici si evince che le continue emissioni di CO2 derivante dalle attività antropiche hanno variato la composizione dell’aria atmosferica. Tale aumento, pur non portando danni immediati alla popolazione e agli esseri viventi, ha il potere di variare il clima terrestre. Le conseguenze sono apocalittiche: rischio di carestia globale, crescita del livello dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacci, estinzioni di massa di specie animali e vegetali. Eppure le soluzioni ci sono: non bruciare combustibili fossili, ricorrere alle fonti rinnovabili; lottare contro incendi, deforestazioni, desertificazione; piantare un gran numero di alberi; diminuire il consumo di carne per l’alimentazione.

Un albero è capace di «sequestrare» circa una tonnellata di CO2 fissandolo nella forma di legno e radici nel corso della sua vita. Quindi è giusto pensare di ridurre gradualmente la CO2 con grandi piantagioni di alberi. Un sequestro naturale di anidride carbonica in circa 20 anni. Se da oggi piantassimo un albero per ogni tonnellata di CO2 prodotta, si avrebbe uno smaltimento delle emissioni con un ritardo di fase di circa 20 anni.

Questo vuol dire avere molta cura del territorio. Introdurre delle leggi, per esempio obbligo di piantare due alberi per ognuno che viene abbattuto, e procedere a piantumazioni su scala industriale, con specie opportune. In pochi anni verrebbero esaurite le aree adibite a questi scopi, entrando in conflitto con le lottizzazioni, i pascoli destinati ad animali da allevamento o da macello, ecc… Ecco che l’unica soluzione che si presenta è utilizzare zone semiaride o desertiche, come il Sahara.

Il deserto però non si vince in 20 anni, occorrono generazioni, uno strenuo sforzo internazionale congiunto, grossi capitali, ma soprattutto è necessaria la pace in quell’area, che in questo momento manca. Nel Sahara scarseggia l’acqua. Sarebbe quindi necessaria una moltitudine di impianti di dissalazione, per esempio ad osmosi inversa. L’alta efficienza di tali impianti congiuntamente alla richiesta di acqua di bassa qualità, permetterebbe di effettuare un impianto con un basso impegno in termini di potenza e di costo. Con una media di un albero ogni 10 m2 e supponendo che la produzione mondiale di CO2 annua si aggiri attorno ai 27 miliardi di tonnellate, è immediato ricavare che si renderebbero necessari 405.000 km2 per compensare tale produzione. Il Sahara misura più di 8 milioni di km2 ragion per cui ci sarebbero virtualmente gli spazi, ma non è realistico allo stato attuale un progetto rivoluzionario di questo genere. L’opzione della piantagione di alberi su vasta scala esaurirebbe gli spazi in poco tempo, per cui va usata in parallelo alla drastica riduzione delle emissioni. Non ci sarà mai spazio a sufficienza per mettere tutti gli alberi necessari a riassorbire il carbonio che è stato liberato dal 1769.

Termodinamicamente parlando il bosco funziona come un immenso pannello fotovoltaico, che non solo dà energia, ma migliora la qualità dell’aria, stabilizza il clima. Nello specifico, non ci sono micro celle di silicio, ma semplici foglie, il processo è simile: entra luce, esce materia – energia, il legno.

Nelle aree temperate per gli alberi si potrebbe pensare di selezionare quelli a rapida rotazione, come pioppi ibridi, robbia od altri ancora. Questo è il campo dei botanici, sono loro che devono dare indicazioni in merito.

La geopolitica attuale, molto instabile, non consente ancora di intraprendere macro progetti mondiali, come per esempio la lotta alla desertificazione su vasta scala.

Purtroppo ci sono altri processi innescati dalla variazione della composizione chimica dell’atmosfera.

L’acidificazione degli oceani è il nome dato alla decrescita del valore del pH oceanico, causato dalla assunzione di anidride carbonica di origine antropica dall’atmosfera. Circa un quarto della CO2 presente nell’atmosfera va a finire negli oceani dove si trasforma in acido carbonico (H2CO3).

All’aumento di CO2 nell’atmosfera corrisponde perciò un corrispondente incremento di quella disciolta nell’acqua marina. È stato stimato che tra il 1751 e il 1994, il pH superficiale delle acque oceaniche si sia abbassato da 8,25 a 8,14,5 con un corrispondente aumento della concentrazione di ioni H+.6

Il processo di continua acidificazione delle acque oceaniche ha indubbiamente un effetto sulla catena alimentare collegata a queste acque e in particolare può influire sul lisoclino e sulla profondità di compensazione dei carbonati, che porta allo scioglimento dei gusci calcarei delle conchiglie dei molluschi e del plancton calcareo, costituite da carbonato di calcio (CaCO3).

Come è stato accennato prima negli Stati Uniti e Canada si è diffusa la tecnica del «fracking», procedimento noto come fratturazione idraulica, per estrazione del metano, con notevoli ripercussioni sull’ambiente. Con questa tecnica si contaminano le riserve di acqua dolce di buona qualità, si consuma e si compromette il territorio con migliaia di pozzi ed infrastrutture distruggendo la biodiversità in superficie, e provocando perfino terremoti per la frantumazione degli strati rocciosi sottostanti.

A seguito degli avvertimenti degli scienziati i mass-media riportano le notizie sui pericoli incombenti.

Il plancton oceanico è in pericolo. A rischio l’equilibrio del pianeta

È l’elemento alla base della catena alimentare marina e componente fondamentale del nostro ecosistema. Ora a causa dell’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera diverse specie di fitoplancton rischiano di scomparire. Le conseguenze potrebbero essere drammatiche. Il nome deriva dal greco planktos e significa «errante», per via della sua tendenza a spostarsi utilizzando le correnti. È composto da svariate specie di protozoi, archeozoi, alghe, batteri e organismi eucariotici. È alla base della catena alimentare marina e grazie a esso gli oceani sono in grado di assorbire una porzione significativa dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo. In parole povere: è una componente fondamentale nell’equilibrio del nostro ecosistema e, per via il cambiamento climatico, oggi è in serio pericolo. (…)».7

Clima, il mondo dipende dal futuro delle foreste

Ogni anno spariscono 12 milioni di ettari di foreste, il vero polmone del pianeta. Al forum sul clima di Parigi 17 stati hanno firmato una dichiarazione contro la deforestazione. E alcune grandi multinazionali promettono di dare una mano. Basterà a fermarla? Per curare la febbre del mondo, sarebbe bene cominciare dai polmoni. Le foreste tropicali – dal Guatemala all’Indonesia, passando dall’Africa subsahariana – sono i polmoni del Pianeta perché, attraverso la magìa della fotosintesi, si nutrono di anidride carbonica e, date le loro enormi dimensioni, gestiscono una parte rilevante del cosiddetto “ciclo del carbonio” planetario. Peccato che spariscano al ritmo di 12 milioni di ettari all’anno. Una deforestazione che produce l’11% delle emissioni globali di CO2: una volta abbattuti, gli alberi rispediscono nell’atmosfera l’anidride carbonica che avevano catturato in precedenza. (…) ».8

foreste

La qualità della vita sull’astronave Terra dipende da tanti fattori. Siamo tutti interconnessi. Se la natura soffre, tutta la vita ne risente. Quello che si consuma ha degli effetti sul sistema. Ciò vale per le materie prime, per le risorse del sottosuolo, ma anche per l’uso del territorio, per la stessa alimentazione. Tra alimentazione e salute esiste un legame strettissimo. Questo legame comprende anche la salute del Pianeta. La dieta mediterranea fu studiata già negli anni Settanta dai nutrizionisti americani, guidati da Ancel Keys, per gli effetti benefici sulla salute. Sono seguiti ricerche, studi, indagini epidemiologiche.

La piramide alimentare è la più semplice ed efficace rappresentazione di uno stile alimentare corretto ed equilibrato, che coincide con il modello alimentare mediterraneo. Questo schema vede al vertice i cibi da consumare solo occasionalmente e alla base gli alimenti – fondamentali, appunto – che hanno dato prova di avere un effetto positivo sulla salute, che quindi vanno mangiati tutti i giorni.

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I cibi sono suddivisi in fasce orizzontali. Salendo progressivamente dalla base verso la cima, la frequenza di consumo delle diverse categorie alimentari dovrebbe diminuire. Alla base della piramide si trovano proprio frutta e ortaggi tipici delle abitudini alimentari mediterranee, ricchi in termini di nutrienti (vitamine, sali minerali, acqua) e di sostanze protettive (fibre e composti bioattivi di origine vegetale). Salendo progressivamente si trovano gli alimenti a crescente densità energetica (molto, troppo presenti nella dieta nordamericana) che andrebbero consumati in sempre minore quantità. Nel 2005 lo schema è stato rivisto e attualizzato con modifiche importanti, ad esempio la distinzione tra grassi buoni e insalubri e lo spostamento della carne rossa verso gli alimenti meno raccomandabili. Ma, a distanza di anni, la piramide alimentare basata sulla dieta mediterranea resta un modello di riferimento, in cui convergono tutte le principali raccomandazioni nutrizionali emanate nei più diversi ambiti della medicina.

Ciò che fa male all’equilibrio del Pianeta: La piramide alimentare dell’impatto ambientale. L’impatto della nutrizione sulla salute è un concetto studiato in medicina ed è alla base della prevenzione per molte diverse patologie. Ma c’è anche l’impatto sulla salute del Pianeta. Un esempio. La Cina fino a pochi anni fa aveva come piatto nazionale il riso. Adesso con la globalizzazione e l’apertura dei mercati i cinesi stanno diventando carnivori. La produzione interna di carne non è più sufficiente per soddisfare la domanda. Ecco allora la necessità di affacciarsi sul mercato globale. Per soddisfare la domanda di carne dei cinesi occorrono nuovi allevamenti intensivi. Dove? Nella foresta amazzonica! Ecco allora che si distrugge un’altra fetta dei polmoni della Terra per soddisfare la domanda in continua crescita di carne rossa. Occorre perciò moderare il consumo di carne.

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L’energia solare pulita a disposizione della Terra è alcune migliaia di volte più abbondante di quella che l’Umanità intera consuma oggi. Come ha scritto uno studioso del nostro tempo, Nazzareno Gottardi: «Con l’energia si può produrre tutto; l’energia è ricchezza, l’energia è benessere, l’energia è vita.

Quella stessa vita che il Sole ha fatto scaturire ed ha alimentato sul nostro Pianeta, con la sua propria energia. Esso può ancora, con essa, sostenere quest’Umanità per altri quattro miliardi di anni e con l’enorme flusso richiesto dalle nostre moderne tecnologie, in un ambiente perfettamente salubre, abolendo per sempre l’uso folle delle classiche sorgenti di energia.

Questo però richiede un nuovo modo di organizzare il mondo. Richiede una comunità umana nuova, dove le discriminazioni di razza, genere, religione ed opinione siano definitivamente abolite. Dove regni, principe, lo spirito di solidarietà. Dove l’Amministratore che tutelerà l’Umanità nella sua veste giuridica di ente universale, sia la Giustizia. Per ottenere questo bisogna fare uno sforzo universale che comincia da noi singoli individui che comprendiamo questa necessità.9»

Le foreste sono i polmoni della Terra, impariamo a proteggerle, perché sono a rischio. Le monocolture della palma da olio stanno soppiantando la foresta equatoriale del sud-est asiatico. La foresta amazzonica, è sotto attacco dell’uomo ed è minacciata dai cambiamenti climatici provocati dall’uomo. Il sistema è fragile e basato su equilibri molto delicati. Estati anomale e siccitose possono trasformare la foresta Amazzonica in savana, con danni incommensurabili per la perdita di biodiversità, di produzione di ossigeno, di regolazione climatica.

albero

 Nella foto Marco Bresci (destra), con il fotografo, regista, esploratore Luca Bracali, ideatori del progetto Pianeta Terra un mondo da salvare, sponsorizzato dalla Fondazione CARIPT.

Gli alberi ci donano con amore l’ossigeno senza il quale non potremmo vivere. La natura può fare a meno di noi, ma noi non possiamo fare a meno di essa. Cerchiamo di cogliere i «segni» che ci offre. Coloro che fanno trekking in montagna sanno che quando arrivano le nuvole o la nebbia, se i fiori spontanei si chiudono significa che presto pioverà e quindi bisogna trovare un riparo; al contrario, se rimangono aperti, vuol dire che non pioverà. La natura ha un linguaggio comunicativo. I «segni» del cambiamento climatico sono ben visibili, non si può rimanere inattivi, ciechi e sordi davanti a questa emergenza.

Marco Bresci
[31 Mag 2017]

Bibliografia

 – Al Gore, La Scelta, Rizzoli, 2009.

– Francesco Bergoglio, Enciclica Laudato si’, 2015.

– Giuseppe Robiati, Economia per un Nuovo Ordine Mondiale, Casa Editrice Bahá’í, 1998.

– James Hansen e S. Caserini, Tempeste. Il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire, Edizioni Ambiente, marzo 2010.

– Jeremy Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Oscar Mondatori, 2011.

– Luca Bracali, SOS Pianeta Terra, Electa, Mondadori, 2010.

– Luca Mercalli Prepariamoci a vivere con meno risorse, meno energia, meno abbondanza… e forse più felicità, Chiarelettere, 2011.

– Mathis Wackernagel, William Rees, L’impronta ecologica. Come ridurre l’impatto dell’uomo sulla Terra, Edizioni Ambiente, 2002.

– Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà, Rizzoli 2015.

– National Geographic, La sfida del Clima. Speciale cambiamento climatico, manuale di sopravvivenza per un Pianeta sempre più caldo, novembre 2015.

– Ugo Bardi, La Terra svuotata. Il futuro dell’uomo dopo l’esaurimento delle risorse, Editori Riuniti University Press, 2011.

– Ugo Mattei, Beni Comuni, un manifesto, Edizioni Laterza, 2011.

– Worldwatch Institute, State of the World, rapporti annuali sullo stato del Pianeta pubblicati da Edizioni Ambiente.

Biografia dell’Autore

Marco Bresci, laureato in ingegneria elettronica, ha conseguito un master di I livello in «Sicurezza stradale» con l’Università di Firenze.

Esperto di mobilità, è impegnato nei suddetti ambiti e si occupa di mobilità, sicurezza, prevenzione e formazione.

È consulente dell’Automobile Club Pistoia.

È studioso da una ventina di anni delle tematiche sull’ambiente e dello sviluppo  sostenibile.

Ha pubblicato vari libri e articoli riguardanti ambiente, economia, energia, gestione delle risorse, prosperità globale, sviluppo sociale, mobilità sostenibile, qualità della vita, etica e spiritualità.

Ha ideato e promosso, per conto dell’Automobile Club Pistoia, la manifestazione Ecomobility, caratterizzata da convegni sull’ambiente e la mobilità  sostenibile, con esposizione di veicoli a basso impatto ambientale.

Ideatore e promotore di Uomo al Centro dell’AmbienteChilometro Green e altri progetti con le scuole superiori.

Ha collaborato al progetto Pianeta Terra, un mondo da salvare, con Luca Bracali, sponsorizzata dalla Fondazione CARIPIT di Pistoia.

Nell’ottica della salvaguardia ambientale promuove seminari e interventi formativi sulla gestione etica delle risorse e dell’energia.

Libri pubblicati dall’Autore

– Marco Bresci, Giuseppe Castello ed Enzo Stancati La Fede Bahá’í, cento domande, cento risposte, Editoriale Progetto 2000, Cosenza 1998.

– Marco Bresci e Carlo Coronato, Armonia tra ambiente e sviluppo nel Terzo Millennio, Casa Editrice Bahá’í, maggio 2001.

– Marco Bresci, Pianeta uomo, i diritti dell’Anima, European Press Academic Publishing, maggio 2004.

– Marco Bresci, La Porta, Skygate, Editrice Ibiskos di A. Risolo, aprile 2006.

– Marco Bresci, Idee senza frontiere, European Press Academic Publishing, maggio 2007.

– Marco Bresci, Luci di Maturità, l’Umanità conosce sé stessa, Ecoedizioni Internazionali, marzo 2013.

– Marco Bresci, Astronave Terra, un Codice di Bordo, pubblicato su «Pianeta Terra, un mondo da salvare», di Luca Bracali, Silvana Editoriale, aprile 2016.

– Marco Bresci, Antica Sapienza, Valori e Insegnamenti Universali, Ecoedizioni Internazionali, giugno 2017.


[1] Nome ispirato dalla mitologica dea della Terra, la “Madre Terra”.

[2] Stephan Harding ha ottenuto il dottorato in Ecologia presso l’Università di Oxford, insegna ecologia profonda e la teoria di Gaia presso lo Schumacher College, a Dartington Hall in Inghilterra, voce è coordinatore del MSc IN Scienza Olistica. Il suo lavoro si basa sull’integrazione tra l’analisi scientifico-razionale e la capacità di sentire e percepire come vitale il difficile compito che abbiamo di fronte davanti all’attuale grave crisi ecologica.

[3] James Lovelock, “La rivolta di GAIA”, Rizzoli, 2006, pag. 8.

[4] James Hansen, intervista a TED: www.ted.com/talks/james_hansen_why_i_must_speak_out_about_climate_change/transcript?language=it

James Hansen (Denison, 29 marzo 1941) è un astrofisico e climatologo statunitense.

Dal 1981 è a capo del Goddard Institute for Space Studies della NASA nella città di New York, un istituto facente parte del Dipartimento di scienze della terra del Goddard Space Flight Center di Greenbelt, nel Maryland (Stati Uniti). Inoltre è un professore del Department of Earth and Environmental Sciences della Columbia University.

Hansen è molto conosciuto per le sue ricerche nel campo della climatologia, in particolare sul global warming e i cambiamenti climatici.

[5] M.Z. Jacobson, Studying ocean acidification with conservative, stable numerical schemes for nonequilibrium air-ocean exchange and ocean equilibrium chemistry, in Journal of Geophysical Research – Atmospheres, vol. 110, 2005, pp. D07302, Bibcode:2005JGRD..11007302J, DOI:10.1029/2004JD005220.

[6] Hall-Spencer JM, Rodolfo-Metalpa R, Martin S, et al., Volcanic carbon dioxide vents show ecosystem effects of ocean acidification, in Nature, vol. 454, nº 7200, luglio 2008, pp. 96–9, Bibcode:2008Natur.454…96H, DOI:10.1038/nature07051, PMID 18536730.

[7] Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/ambiente/2015/08/13/news/il_plancton_oceanico_e_in_pericolo_con_esso_l_equilibrio_biogeochimico_del_pianeta-119853083/

[8] Fonte: l’Espresso, http://espresso.repubblica.it/internazionale/2015/12/02/news/clima-il-mondo-dipende-dal-futuro-delle-foreste-1.241786

[9] Nazzareno Gottardi, introduzione a Luci di Maturità, l’Umanità conosce se stessa, di Marco Bresci, Ecoedizioni, 2013.