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Piccoli ghiacciai resilienti: lo strano caso delle Alpi Giulie…

Le Alpi Giulie dopo le nevicate estreme dell'inverno 2020-21 con spessori di neve tra 3 e 5 metri

I piccoli ghiacciai delle Alpi Giulie a bassa quota sono in controtendenza: invece di scomparire a causa del riscaldamento globale, come accade nel resto delle Alpi, sono resilienti e stabili da circa 15 anni. Un team internazionale di ricerca, coordinato dall’Istituto di scienze polari del Cnr, individua le possibili cause

(a) Distribution of ice bodies in the Italian Julian Alps. (b) Location of the Julian Alps study area. (c) Montasio West glacier. (d) Canin East glacier ice patch. [ Photo R.R. Colucci ]
Il maggiore riscaldamento dell’Artico e l’aumento della temperatura della superficie del Mare Adriatico sembrano siano le possibili cause da ricondurre alla determinazione a… non voler scomparire dei piccoli ghiacciai delle Alpi Giulie. Lo ipotizzano gli studi, pubblicati sulla rivista Atmosphere (https://doi.org/10.3390/atmos12020263), condotti dal team internazionale composto da ricercatori di: Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), Aberystwyth University in Galles (Uk), International Center for Theoretical Physics (Ictp), Università di Trieste, Università di Udine e Eotvos Lorànd University di Budapest (Hu). La ricerca, in sintesi, giustifica con l’aumento degli estremi nevosi nel settore alpino orientale le cause alla base della resilienza dei piccoli ghiacciai delle Alpi Giulie.

 

Le abbondanti nevicate registrate in inverno negli ultimi anni non sono sinonimo di freddo, dicono gli esperti. Tendenzialmente, infatti, si stanno registrando inverni sempre più miti rispetto al passato quando le estati, più fresche, facevano fondere meno neve sulle Alpi e i ghiacciai restavano in equilibrio.

Le valutazioni del ricercatore Cnr-Isp Renato R. Colucci

Anche quest’anno sulle Alpi, e in particolare sul settore centro orientale, si sono verificate nevicate molto intense e frequenti che hanno portato la somma degli accumuli nevosi a toccare già i 10 metri a 1.800 metri di quota nelle Alpi Giulie”, spiega Renato R. Colucci, ricercatore Cnr-Isp, a capo del team di ricerca che lavora sui piccoli residui glaciali delle Alpi Giulie da oltre 10 anni, e Presidente della Società meteorologica alpino-adriatica. “Annate con accumuli eccezionali e molto superiori alla norma si sono verificate con cadenza frequente negli anni 2000 come ad esempio negli inverni 2019-‘20, 2013-‘14, 2008-‘09 e 2000-‘01, oltre che a questo ultimo inverno. L’ingente strato nevoso deposto al suolo, in particolare in aree come le Alpi Giulie dove già piogge e nevicate sono tra le più elevate di tutta Europa, è così in grado di bilanciare l’aumentata fusione estiva dovuta a estati che risultano sempre più lunghe e sempre più calde a causa del riscaldamento globale”.

La stazione meteorologica del Monte Canin, Alpi Giulie, con 5 metri di neve al suolo

Misurando i bilanci di massa di tutti i piccoli corpi glaciali di questo settore alpino dal 2006 al 2018, i ricercatori si sono stupiti nel constatare un bilancio di massa complessivo leggermente positivo nel corso degli ultimi 13 anni, in totale controtendenza con quello che avviene su tutti gli altri ghiacciai alpini che, invece, vivono una fase di rapida contrazione e scomparsa con continui bilanci di massa fortemente negativi, dovuti proprio al riscaldamento globale. “Siamo andati a cercare quale potesse essere la causa di questa che potremmo definire «l’anomalia giuliana delle Alpi». Oltre ai fattori topografici che facilitano un maggiore accumulo da valanga, la causa più rilevante sembra essere quella legata proprio agli eventi estremi indotti dal riscaldamento globale”, prosegue Colucci. “Nell’Artico il riscaldamento sta procedendo a un ritmo molto più serrato rispetto alle nostre latitudini, e uno degli effetti predominanti è la drastica riduzione del ghiaccio marino che contribuisce agli effetti di amplificazione del riscaldamento. Questo effetto prende il nome di «Amplificazione artica», e sta modificando la traiettoria della circolazione globale dell’emisfero settentrionale (onde di Rossby). I flussi atmosferici, che sono come delle onde che si muovono da ovest verso est, tendono ad essere più sviluppate in latitudine e si muovono più lentamente verso est facilitando così le «situazioni di blocco», quelle cioè che portano il tempo meteorologico a «bloccarsi» per lunghi periodi di tempo nel medesimo luogo. Ecco allora che ad esempio possono persistere per periodi più lunghi correnti marittime cariche di umidità e portatrici di precipitazioni che affluiscono verso montagne, già di per sé con alta nevosità, oppure lunghe fasi di caldo estivo eccezionale come si verifica sempre più di frequente negli ultimi decenni”.

Diversi studi condotti su questo argomento negli ultimi anni descrivono come queste modifiche impattino sulla meteorologia dell’Europa e del Mediterraneo. “A livello locale, l’aumento della temperatura superficiale del mare Adriatico esalta ulteriormente l’effetto iniziale portando maggiore energia verso le montagne sotto forma di precipitazioni più intense. Il rovescio della medaglia, però, è che la pioggia tende a sostituirsi alla neve via via a quote sempre più elevate, complice anche in questo caso il riscaldamento globale”, conclude il ricercatore del Cnr-Isp. “Alpi Giulie a parte, eccezione assieme forse ad altri settori limitati delle Alpi Orobie e Marittime, la criosfera alpina è in rapida trasformazione e nel giro di una trentina d’anni quasi tutti i ghiacciai al di sotto dei 3.500 m saranno verosimilmente ormai scomparsi, ma il destino di queste residue forme glaciali minori sembrerebbe essere non così scontato come si pensava”.

[ Roberta Di Giuli ]