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Un confronto al Senato sulle “ipocrisie sul clima”

La lotta al cambiamento climatico ha bisogno di una gestione efficace che individui e persegua obiettivi concreti. Ne parla il libro «Le grandi ipocrisie sul clima» di Roger Abravanel e Luca D’Agnese, presentato al Senato su iniziativa della senatrice Mariastella Gelmini, e divenuto ricca occasione di confronto tra esperti, imprese e politica

 

La presentazione del libro «Le grandi ipocrisie sul clima» di Roger Abravanel, saggista italiano, e di Luca D’Agnese, Direttore Advisory e Competence center di Cassa Depositi e Prestiti, voluta dalla senatrice Mariastella Gelmini e tenutasi a Roma nella Sala Isma del Senato della Repubblica, è stata l’occasione per dare la parola a chi, in questo nebuloso armarsi per combattere il riscaldamento globale, individua lacune nelle strategie e negli obiettivi. In sintesi, le coscienze sono mature ma i mezzi non sono adeguati tanto che si individua il rischio di un vero e proprio stallo nel procedere.

Il volume in questo un po’ caotico palcoscenico della transizione, mette a fuoco incoerenze ed ambiguità che sfociano in grandi «ipocrisie». Non sfugge, ai critici scrittori, la preferenza per proposte d’effetto a discapito di strategie concrete. L’approccio necessario è tutt’altro, sintetizzabile nel «triangolo della sostenibilità», un modello che chiama in causa la responsabilità collaborativa di imprese, istituzioni e società civile. In sintesi, solo un’alleanza vera tra questi attori può trasformare la sfida climatica in un’opportunità di progresso tecnologico, culturale ed economico.

Gli esperti a confronto

Un ricco momento di confronto in cui hanno preso la parola imprese, politica e società civile, moderato dal Direttore di Milano Finanza Roberto Sommella.

Così ha spiegato Roger Abravanel:“Oggi la sostenibilità è diventata un mantra che ha invaso tutto, ma solo in superficie. Le aziende sono sommerse da metriche ESG. Intanto, le politiche pubbliche mostrano gravi incongruenze: abbiamo speso un miliardo in incentivi per le auto elettriche, andati via in circa 40 ore, ma l’80% dei benefici è finito all’estero. Nel frattempo, la narrazione dominante addita le tecnologie verdi come soluzione alla minaccia, dimenticando che il vero problema è il crollo strutturale del nostro sistema industriale – da 18 a 10 milioni di auto vendute in Europa. E forse l’aspetto più preoccupante è l’ignoranza diffusa”.

Il co-autore Luca D’Agnese ha invece voluto sottolineare: “Entro il 2050, secondo le ultime ricerche di diversi istituti assicurativi, oltre 1,5 miliardi di persone saranno costrette a lasciare i propri territori per cause climatiche, una crisi senza precedenti. Dal 2023, le rinnovabili superano i fossili negli investimenti globali e le auto elettriche sono ormai centrali nel mercato Tuttavia, la transizione è a rischio: tra neonegazionisti e norme scollegate dalla realtà, l’Europa paga 60-80 euro per tonnellata di CO evitata, contro i 13 euro della Cina. Così, l’elettrificazione rischia di fallire, specie dove mancano colonnine e si parcheggia in strada”.

Ha preso dunque la parola Alfredo Altavilla, Special Advisor for Europe di BYD, che ha sottolineato: “Oggi il mondo viaggia a tre velocità nella transizione ecologica. Negli Stati Uniti il mercato continua a preferire SUV, in Cina sono sufficienti 24 ore per ottenere una targa su un’auto elettrica, a differenza delle vetture endotermiche, mentre in Europa il Green Deal ha generato l’effetto opposto, con il parco auto invecchiato di oltre due anni e le emissioni di CO che non diminuiscono significativamente.

I prezzi delle auto salgono, i salari reali calano, e cresce solo il mercato dell’usato. Intanto, dei 680 milioni di euro del PNRR destinati alle colonnine, 560 milioni sono stato dirottati su bonus per chi l’acquisto di auto elettriche per chi ha un ISEE inferiore a 30.000 euro, dimenticando che chi rientra in quella fascia spesso ha ben altre priorità e al massimo pensa all’acquisto di un’auto usata”.

Per il Senatore Pier Ferdinando Casini, invece, “Serve un principio di obiettività: la responsabilità sociale d’impresa consiste nel rendere compatibili profitto e innovazione ambientale. È una sfida triplice – economica, tecnologica e culturale – che richiede visione e pragmatismo. I dati sul degrado ambientale sono evidenti, ma l’innovazione non può essere ingenua né ideologica. In questo contesto, il dialogo con la Cina è fondamentale: complesso, certo, ma necessario. Sui dogmi non si costruisce nulla; sulla cooperazione sì”, ha proseguito.

La Senatrice Mariastella Gelmini ha individuato i campi dove urge intervenire sottolineando l’impegno a favore di un cambiamento nelle politiche europee: “Molti imprenditori del Nord Italia hanno ragione a lamentarsi della burocrazia del Green Deal. Serve passare a uno Smart Deal, come propongono Roger Abravanel e Luca D’Agnese. Se apriamo il nostro sistema di tassazione a Paesi dove l’energia pulita costa meno, possiamo trarne grandi vantaggi, riducendo i costi dell’energia per i nostri imprenditori. Alle PMI lombarde dico che gestiremo la transizione in modo efficace, ma la competizione è inevitabile per la competitività”.

Dati alla mano Renato Mazzoncini, CEO di A2A ha dichiarato: “L’Italia consuma 1.800 TWh di energia primaria, ma solo 300 TWh sono elettrici: 1.500 TWh provengono ancora da gas e petrolio. Anche sul fotovoltaico siamo penalizzati: un pannello costa 100.000 euro/MW, ma l’impianto finito arriva a 900.000 euro/MW a causa di circa 250.000 euro di autorizzazioni e circa 150.000 euro di terreno. Non solo, In Arabia Saudita l’energia solare costa 10-12 €/MWh, da noi 60-70 €/MWh. Serve semplificare, non aggiungere ostacoli: la burocrazia oggi frena la transizione più del mercato”.

[ Tony Colomba ]