di Laura Maria Padovani • C’è una relazione tra consumi energetici, pratiche agricole, intensificazione tecnologica e perdita di biodiversità. Efficienza energetica, miglioramento della produzione agricola e chiusura dei cicli produttivi contribuiscono alla tutela della biodiversità
L’energia è la linfa vitale della nostra società. Il benessere delle persone, l’industria e l’economia dipendono dalla disponibilità di energia sicura, sostenibile e accessibile. Allo stesso tempo, quasi l’80% delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’UE è connesso alla produzione di energia [EC, COM (2010) 639 final]. La relazione tra stato della biodiversità e consumo di energia rappresenta la manifestazione attuale di un antico paradigma e concorre a ricostruire l’unitarietà della questione ambientale in un quadro di cambiamento globale. Fin dalla Rivoluzione Neolitica, l’utilizzazione di fonti energetiche ha rappresentato una delle più rilevanti modalità con cui la specie umana ha contribuito a modificare lo stato della biodiversità. Le società di raccoglitori-cacciatori, quelle nomadico-pastorali e quelle basate sull’agricoltura, hanno modificato l’ambiente e la biodiversità, mediante il prelievo diretto, il pascolo, la pratica dello «slash and burn» per creare terreni adatti all’agricoltura, ma anche attraverso l’uso del legname e di altri prodotti per costruire, riscaldare, vestirsi e cucinare. L’uomo ha così contribuito alla perdita di biodiversità, a tutti i suoi diversi livelli (genetici, specifici, ecosistemici e paesaggistici) oltre che ad un suo arricchimento (domesticazione, creazione di paesaggi sostenibili). L’uomo ha usato su scala planetaria il legno (compreso quello convertito in carbone) per il riscaldamento domestico e per gli usi industriali, e ha usato altre fonti energetiche rinnovabili: alimenti, acqua per mulini, segherie, generazione idroelettrica, vento per mulini, pompaggio acqua, e trasporto marino. Ancora oggi circa 2,5 miliardi di persone (soprattutto nelle aree rurali di Paesi in Via di Sviluppo) impiegano biomassa tradizionale (legna da ardere, carbone di legna, residui agricoli, escrementi animali) per il riscaldamento e la cottura dei cibi (IEA, 2002). È stato stimato che, alla fine del secolo scorso, circa il 14% del consumo finale di energia fosse da biomassa, all’incirca pari a quello per via elettrica: anche se è prevedibile un declino di questo uso tradizionale, è utile notare che sono in via di sviluppo tecnologie moderne per l’impiego di biomassa.
Consumi energetici e biodiversità
Nei Paesi industrializzati, è evidente che l’intensificazione tecnologica e le pratiche agricole, i consumi energetici, i fenomeni indotti dall’antropizzazione, contribuiscono alla perdita di biodiversità. A questo si aggiungano gli effetti più diretti causati dalle emissioni di inquinanti (atmosferici e idrici), nocivi per la salute degli esseri viventi, provenienti dagli impianti di produzione energetica. La perdita di biodiversità, soprattutto in termini di degrado degli ecosistemi, a sua volta, indebolisce le capacità naturali di prestazione dei cosiddetti servizi ambientali: la depurazione ed il riassorbimento dei residui presenti nelle acque, nell’aria e nel suolo, e la conseguente rinaturalizzazione; il mantenimento di una riserva di biodiversità; la disponibilità di risorse e di spazio per la produzione e il consumo; la disponibilità di ecosistemi, habitat e paesaggi per usi fisiologici, culturali e ricreativi. Il risparmio energetico ed idrico, diminuendo il consumo di risorse e di territorio, ha un evidente effetto indiretto sul mantenimento della biodiversità. L’efficienza energetica contribuisce a diminuire le emissioni di inquinanti e di anidride carbonica, quindi a diminuire gli effetti nocivi sugli esseri viventi ed a mitigare gli effetti climatici sulle specie. Alcuni sottoprodotti dei cicli di produzione energetica hanno effetto sulla biodiversità: l’acqua calda di raffreddamento può indurre effetti non desiderabili come l’eutrofizzazione, ma può anche essere usata per allevamento ittico o coltivazioni in serra. Particolarmente importante è il consumo di territorio per attività estrattive ed impianti energetici, nonché per infrastrutture permanenti (soprattutto come strade, ferrovie, oleodotti, ecc.) sia per la quantità di superficie impiegata, sia per gli aspetti di frammentazione degli habitat, entrambi responsabili di effetti sulla biodiversità. La più importante categoria di costi esterni legati al consumo di territorio sono infatti gli effetti sulla biodiversità, unitamente alla disponibilità per l’agricoltura e gli usi ricreativi. I costi esterni della generazione elettrica non sono esclusivi dell’uso di combustibili fossili. Anche le tecnologie che impiegano fonti rinnovabili possono generare costi esterni (ExternE, 1998, 2005), associati soprattutto al rumore, agli effetti naturalistici e paesaggistico. È opportuno quindi analizzare e comparare il consumo effettivo di territorio a parità di energia prodotta, unitamente alla valutazione della frammentazione per l’effetto barriera, e ad una valutazione degli effetti paesaggistici. Da notare la complessità del problema riguardante l’impiego di biocombustibili e la piantumazione forestale, che possono portare ad una diminuzione della perdita di biodiversità sul lungo periodo, ma ad un aumento sul breve periodo (ten Brink et al., 2007).
Efficienza energetica e biodiversità
Rispetto alla situazione precedente alla Rivoluzione Industriale, le valutazioni più recenti degli andamenti economici e geografici suggeriscono che la biodiversità sia diminuita al 70% circa, e che possa scendere al 63% entro il 2050 se lo scenario rimane quello attuale senza modifiche nelle politiche interessate, (ten Brink et al., 2007). Questo andamento si riferisce alla perdita di biodiversità totale, soprattutto a livello ecosistemico. Tale perdita è collegata all’aumento delle emissioni di gas serra, della domanda per cibo e legname, della produzione agricola, della costruzione di edifici ed infrastrutture, in sintesi all’aumento del reddito medio pro capite, con effetti soprattutto di inquinamento e di frammentazione. Per limitare la perdita di biodiversità è opportuno quindi:
• un miglioramento della produzione agricola, anche in termini di produttività per assicurare cibo, legno e, in alcuni casi, biocombustibili;
• un miglioramento in termini di efficienza energetica complessiva unitamente all’implementazione di un sistema globale di Aree naturali, protette ed interconnesse. A livello nazionale, lo sforzo maggiore è quello volto a migliorare l’efficienza energetica, la principale «fonte rinnovabile » italiana.
La biodiversità, naturale o agro-biodiversità, può utilmente contribuire alla chiusura dei cicli dei rifiuti e dell’acqua mediante il riutilizzo dei reflui, dei residui e degli scarti, in una visione integrata dell’impiego delle fonti rinnovabili.
Laura Maria Padovani