Claudio Bacigalupo, Paola Villani • Opportuna progettazione, adeguamento puntuale ai piani del traffico, strategie efficaci di incentivazione del mezzo pubblico: sono strade obbligate – ma poco percorse – per sollevare il tessuto urbano dal peso, estremo, della congestione e favorire maggiori vivibilità e sicurezza
In tema di pianificazione stradale in ambito urbano gli Enti Locali – da più di un decennio – si muovono nella più totale improvvisazione: nessun controllo, nessuna statistica sui fabbisogni di mobilità, nessuna verifica sui piani attuati ed i risultati conseguiti; è quindi impossibile ricavare un quadro omogeneo sui provvedimenti adottati.
Tranne pochissimi esempi positivi nulla è cambiato negli anni: la quasi totalità dei Comuni pianifica interventi che esulano dagli obiettivi dichiarati nell’ultimo Piano Urbano del Traffico previsto ai sensi del D.Lgs. 285/92 e tutto questo mentre si confermano circa 28.000 decessi all’anno per incidente stradale nei Paesi della UE; il 40% di questi in ambito urbano.
Tra le misure riconducibili al campo di attuazione dei citati Piani del Traffico Urbano sono i provvedimenti volti a ridurre la congestione veicolare (ridisegno delle infrastrutture viarie con attenzione agli incroci, riprogettazione dei percorsi stradali nei quartieri, moderazione delle velocità, fluidificazione del traffico). Benché fosse stato ipotizzato (a livello Normativo) un aggiornamento biennale dei piani basato sul monitoraggio delle condizioni di sicurezza e circolazione, sono rarissimi i casi in Italia nei quali si è proceduto sulla base degli obiettivi dichiarati.
Le tabelle relative ai Piani Generali del Traffico Urbano adottati / approvati nei principali Comuni (cfr. all. 1) evidenziano che 120 dei 308 Comuni obbligati alla redazione del Piano Urbano del Traffico non hanno seguito alcuna sequenza temporale standard di aggiornamento.
In questi Comuni risiede il 30% della popolazione italiana. Se queste Amministrazioni Comunali avessero operato con maggior continuità e tempismo, di quanto si sarebbe potuto ridurre in Italia il numero degli incidenti stradali in ambito urbano? Per intervenire occorre conoscere, e sebbene vi siano Enti locali che effettuano in tempo reale i conteggi dei flussi di traffico, in molti altri Comuni i rilievi risalgono a due anni prima dell’approvazione del Piano, ed in altri ancora sono anche del ventennio precedente!
Il tema centrale per le amministrazioni delle grandi città è la congestione dovuta all’uso dell’automobile, e di conseguenza uno dei problemi principali è rappresentato dallo scarso utilizzo dei sistemi di trasporto pubblico, in particolare quello su gomma [1] .
La scelta che induce più dell’80% dei lavoratori pendolari all’utilizzo del mezzo privato è riconducibile alla inadeguatezza del sistema pubblico. I fattori sono molteplici ma spesso non esattamente osservati: si citano la non sistematicità degli spostamenti, lo scarso comfort, il basso livello di sicurezza (furti, incontri sgradevoli), il costo elevato, la scarsa frequenza e si dimentica quanto sia importante il fattore «tempo», il «tempo di viaggio effettivo»[2]: le corsie riservate sono utili e le linee di autobus che su esse transitano sono quelle maggiormente frequentate, ma purtroppo non estensibili all’infinito sull’intera rete stradale.
Il Piano Generale del Traffico di Milano, recentemente approvato, pone l’accento sulla necessità di trasferire utenza dal mezzo privato a quello pubblico quale condizione essenziale per alleggerire e razionalizzare la circolazione in ambito urbano e ridurre la congestione stradale.
Uno dei principali problemi è costituito dalla forte penetrazione di flussi veicolari in area urbana, pressione accentuatasi in modo particolare sul versante degli spostamenti operativi, in ragione della rapida evoluzione della struttura produttiva milanese e della concentrazione in Milano di funzioni terziarie che hanno un’area di interesse e attrazione di livello regionale e nazionale. Le correnti di traffico provenienti dall’hinterland su mezzo privato si attestano prevalentemente nei punti di interscambio[3] con la rete metropolitana, quando non penetrano in città direttamente sino al punto di destinazione aggravando la congestione sulla rete urbana e aumentando la già rilevante domanda di parcheggi nella città.
L’interscambio con i mezzi su gomma è poco praticato a causa delle loro «basse velocità di esercizio».
Per poter soddisfare i livelli di mobilità richiesti, il sistema del trasporto pubblico in un’area metropolitana deve essere fortemente competitivo nei confronti del trasporto individuale e privato e darsi quindi un’organizzazione funzionale e strutturale tale da acquisire tutta l’utenza «potenziale». Negli ultimi anni i programmi di riassetto o di miglioramento della dotazione infrastrutturale nell’area milanese hanno riguardato prevalentemente l’estensione generalizzata delle corsie riservate al trasporto pubblico su gomma, servizio ora assai più esteso e capillare ma ancora non in grado di catturare tutta l’utenza che risiedendo in ambito extraurbano procede con il proprio veicolo sino a destinazione.
Già ora, ma ancor più pensando ai flussi che EXPO 2015 inevitabilmente genererà, bisognerebbe garantire un miglior livello di servizio, provvedendo ad alimentare l’utenza sulle linee «principali» incrementando la disponibilità di altre forme di trasporto pubblico o da condividere (minibus, car-pooling, bike sharing o bici personale) e incentivando l’intermodalità.
Ma soprattutto bisogna migliore la velocità in superficie riducendo drasticamente gli innumerevoli punti di congestione presenti. È quindi importante ridurre i tempi di attesa in ogni nodo anche attraverso la preferenziazione semaforica a favore del mezzo pubblico. Sono provvedimenti che purtroppo richiedono investimenti pubblici.
Se l’attuale effetto-rete non riesce a trasferire significative quote di utenza dal privato al pubblico, si devono comunque migliorare velocità e qualità del servizio in modo conseguire vantaggi significativi sui fronti del tempo e dello stress. La proposta a costo zero qui formulata si riferisce quindi ad una modificazione del comma 3 dell’art.145 dell’attuale Codice della Strada[4] «Precedenza» da integrare c.s.: “I conducenti devono altresì dare la precedenza a tutti gli autobus e filobus adibiti a servizio di trasporto pubblico”.
Gli obiettivi sono relativi all’immediatezza del risultato, alla modificazione comportamentale: “presto attenzione… quindi rivaluto“, alla forte riduzione del tempo di viaggio data
•dalla precedenza sugli altri veicoli in tutte le reimmissioni nella circolazione in seguito alle fermate;
•dalla precedenza a tutti gli incroci non semaforizzati;
• dalla precedenza nelle svolte a sinistra;
• dalla precedenza sugli altri veicoli nei restringimenti di carreggiata (numerosissimi);
• dalla precedenza al punto di interruzione del percorso protetto;
• dalla precedenza nell’immissione in rotatoria.
Per i conducenti dei veicoli privati questa norma sarebbe di facile rispetto, e considerate le dimensioni e il colore dei mezzi, indurrebbe psicologicamente tutti a una rivalutazione del servizio di trasporto pubblico e forse ad un’ipotesi di alternativa interessante.
Il problema della congestione non sembra invece risolvibile mediante una prima grande scorciatoia, cioè l’attuazione di norme tese ad una significativa limitazione dell’utilizzo del mezzo di trasporto privato in grandi aree; chi scrive evidenzia forti perplessità anche su Area C di Milano.
Da un lato le restrizioni al transito nell’area centrale, in presenza di un sistema di trasporto pubblico di non adeguata capacità, hanno indotto ‘’aggravi sul costo generalizzato di molti spostamenti, distorsioni sulla distribuzione della domanda di trasporto e differenti destinazioni sull’uso del suolo e delle attività economiche, e generato costi che superano i benefici dichiarati nella riduzione della congestione locale. Infatti se da un lato si evidenziano dati sulla contrazione degli accessi privati, nulla viene detto sui dati di accesso e transito per i veicoli commerciali che risultano essere in crescita.
La seconda, piccola scorciatoia è rappresentata dagli interventi non pianificati e che non sono stati oggetto di simulazioni modellistiche, messi in atto dall’oggi al domani. I tecnici, alcuni tecnici, sollevano perplessità, ma l’intervento viene attuato, magari con la denominazione di «scelta in fase di valutazione», «provvedimento temporale», «sperimentazione».
Sarebbe interessante analizzare come vengano prese le decisioni che impattano sulle città o su ampie porzioni del territorio cittadino. Ma questo risulta impossibile: ad esempio in nessun punto del Piano Urbano del Traffico di Milano (adottato nel 2012 ) vi era l’indicazione relativa alla prossima pedonalizzazione delle due strade adiacenti al Castello e parte sostanziale della relativa piazza. L’unico possibile riferimento era forse in alcune affermazioni generiche, come interventi per la «riqualificazione del paesaggio», «a favore della ciclo/pedonalità», di «riqualificazione ambientale del Centro», per la «mobilità sostenibile». Tutte politiche attinenti ai Piani Urbani della Mobilità (PUM), non contemplate tra le azioni puntuali che la Normativa prevede per i Piani Urbani del Traffico (PUT).
In merito, tra le Determine recenti del Comune di Milano è reperibile soltanto quella per la valutazione e assegnazione degli spazi soggetti a plateatico lungo i circa 7.000 mq resi pedonali nel periodo 12 maggio-8 giugno 2014. Non si tratta di una vera pedonalizzazione come dichiarato sui media[5] ma di una «manifestazione» temporanea (denominata «Passeggiamo al Castello»), manifestazione che può essere messa in atto grazie ad una semplice Determina[6].
Ma come è possibile che quotidiani e riviste di settore (Quattroruote) abbiano dato risalto ad una notizia destituita di fondamento, con articoli che descrivono come permanente da EXPO in poi la pedonalizzazione ora prevista per una semplice manifestazione?
Ancora sulla pedonalizzazione
La città storica per definizione, è costituita da cortine murarie di edifici nobili o plebei, costruiti con tecnologie omogenee, e che definiscono i luoghi simbolici dei diversi poteri, di riconoscimento ed incontro della vita sociale, ed i luoghi di transito necessari alla vita economica. Il nucleo antico è omogeneo ed immediatamente percepibile: ecco le mura, la porta, il borgo, i magazzini, le botteghe artigiane, il mercato, le case dei signori, il palazzo del Principe e quello Vescovile, il Tribunale ed ancora la Cattedrale. Nei nostri viaggi ricerchiamo l’armonia di questo insieme, immaginando il passato e cancellando mentalmente dalla vista quanto ad esso estraneo: auto, veicoli, illuminazione, pali e cavi, pubblicità ed espressioni tecnologiche e questo sino a far mentalmente coincidere quella città con i valori desiderati di Bello, Arte, Umanità. Ma a Milano si procede al contrario: si realizzano manufatti che sviliscono lo scenario perfetto e complessivamente unitario.
Si arriva in tal modo alla composizione dell’area urbana basata sulla stridente giustapposizione di residui storici e di sostituzioni speculative caratterizzate da povertà formale, incrementi volumetrici, e della più recente ricerca, spesso fine a se stessa, dell’effetto spettacolare o monumentale.
Lo spazio aperto ha autorizzato il disimpegno urbanistico, realizzato però in assenza di un grande verde connettivo, unico riscatto possibile dal disordine formale. È quello lo spazio pubblico che andrebbe completamente riprogettato verificando la compatibilità delle funzioni sostenute, spostando e concentrando quelle incompatibili, accettando, rifiutando, riorganizzando o concentrando il parcheggio, separando il mezzo privato da quello pubblico pur riconoscendo ad entrambi uguali obiettivi di efficienza, sicurezza e velocità, ed inserendovi infine la novità di due reti continue: quella ciclabile e quella pedonale. Quest’ultima caratterizzata da nuovi livelli di qualità d’uso nel rapporto con la mobilità, il verde, le sue attrezzature, gli edifici pubblici, le attività ed il commercio, i monumenti.
Urbanistica e mobilità sono inscindibili. Quando lo spazio pubblico è in crisi, la mobilità lo denuncia, ma i suoi strumenti non bastano a restaurare la qualità generale. Non ci sono scorciatoie.
Claudio Bacigalupo, Paola Villani
[1]Per quanto riguarda i mezzi utilizzati e la loro incidenza:
a) l’uso del mezzo di trasporto pubblico incideva, nel ‘91, per il 20% nelle regioni monocentriche (di più per la Lombardia, 19,14%) ma solo per poco più del 10% nelle regioni policentriche (di meno per il Veneto, il 10,08%)
b) la percentuale d’uso del mezzo pubblico si è ridotta poi progressivamente in tutte le regioni per tutto il decennio, successivo soprattutto nelle aree meno dense, ed in Piemonte ad esempio è passata del 32,53% al 18,59%.
c) nell’uso del trasporto pubblico i lavoratori che impiegavano per lo spostamento casa-lavoro tra 0 e 30 minuti sono diminuiti nello scorso decennio, a fronte di un incremento di quanti hanno visto aumentare il tempo impiegato (tra 30 e 60 minuti oppure oltre i 60 minuti) nello spostamento con il mezzo pubblico.
d) l’uso del trasporto pubblico incideva particolarmente nei tragitti lunghi, oltre i 60 minuti, dove raggiungeva quasi il 70% in Lombardia e Piemonte (ma in Lombardia si usava percentualmente di più il treno) e si attestava intorno al 60% nelle regioni policentriche; nei tragitti brevi, sotto i 30 minuti, il trasporto pubblico arrivava quasi al 10% nelle regioni monocentriche (un po’ di più in Piemonte, dove però si usava percentualmente di meno il treno), ma era presente per una quota inferiore al 5% nelle regioni policentriche, in cui l’auto aveva un primato pressoché totale per le piccole distanze. Per quanto riguarda i mezzi utilizzati e le loro dinamiche: l’uso del mezzo pubblico denotava un calo percentuale ovunque, soprattutto nelle regioni meno dense, e nello specifico si riduceva del 24,72% in Piemonte e del 20,28% in Emilia, a fronte di un decremento pari al 17,90% in Lombardia e al 16,89% in Veneto, utenza che per i tragitti sotto i 30 minuti nelle regioni monocentriche, pareva ricorrere al veicolo privato.” [ A.Moretti, P.Villani, Ricerca di interesse nazionale Trasporti Scienza e Tecnica 1997]. Secondo un’indagine Isfort nel periodo 2007 – 2012 l’utenza del trasporto pubblico nelle grandi città italiane è aumentata (in 5 anni) dell’8,2%, a fronte di una contrazione degli spostamenti in auto (-19,3%). La cosiddetta quota modale del trasporto collettivo, ovvero la percentuale di spostamenti motorizzati effettuati con un mezzo pubblico è, di conseguenza, salita nelle aree urbane al 15,1% contro l’11,7% del 2007.
[2] L’utente monetizza tanto più il tempo di viaggio quanto più lo stesso avviene in condizioni di scarso comfort.
[3] o in prossimità delle stazioni della metropolitana milanese anche laddove opportune aree a parcheggio non sono state previste
[4] D.L.vo 30 aprile 1992 , n.285
[5] http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_aprile_15/castello-rivoluzione-traffico-22-aprile-scatta-zona-rossa-e4645bc4-c465-11e3-9713-8cc973aa686e.shtm
[6] Determina Dirigenziale n. 72/2014, approvata con deliberazione Giunta comunale n. 443 del 07/03/2014