Molti hanno definito fallimentare l’incontro COP 15 di Copenhagen sui cambiamenti climatici, tuttavia va registrata la convergenza di tutti i principali leader politici mondiali sulla necessità di intervenire per mitigare gli impatti dei gas serra e ridurre quindi gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Ed anche se un accordo specifico non è stato trovato, sono ormai note le misure da adottare al riguardo agendo attraverso strategie specifiche e su molteplici fronti, così come viene illustrato nei piani operativi presentati dai rappresentanti inglesi.
Il Presidente del Brasile Lula, nel suo intervento in chiusura del Summit di Copenhagen, ha evidenziato lo scarso impegno delle maggiori potenze mondiali sottolineando come sia mancata una visione prospettica e il coraggio di sottoscrivere azioni impegnative.
Comunque da Copenhagen emerge che:
- esiste una consapevolezza diffusa del cambiamento climatico e del relativo impatto sull’incremento dei costi di gestione del territorio e sulla necessità di un differente approccio per la manutenzione delle infrastrutture;
- i cambiamenti possono essere ciclici oppure solo di natura antropica ma in entrambi i casi la riduzione delle emissioni si impone comunque;
- sebbene sia evidente l’irreversibilità dei processi in atto, anziché parlare di responsabilità collettiva sarebbe più pragmatico pensare in termini di «soluzioni collettive e condivise», come consiglia il Presidente Barack Obama;
- sarebbe quindi auspicabile un’azione propositiva che, originata dai Paesi maggiormente sviluppati, coinvolgesse quelli in via di sviluppo; fondamentale l’ampia condivisione di una politica di lungo periodo focalizzata sulla necessità di preservare i territori dal dissesto, tutelare le popolazioni insediate e le loro usuali attività e mantenere in efficienza i collegamenti esistenti.
Mai come ora è auspicabile un sistema politico economico coeso in grado di creare consenso sulle scelte di tutela e salvaguardia e di governare con efficienza i cambiamenti in atto, moltiplicando gli incentivi all’iniziativa privata e, di conseguenza, le occasioni di sviluppo.
Molti asseriscono che tutela dell’ambiente e crescita economica non possano coesistere mentre nella realtà il mondo in cui viviamo prova il continuo processo di adattamento introdotto per coniugare nel miglior modo possibile esigenze di vita e natura.
Quale che sia la causa dei cambiamenti climatici in atto si può ragionevolmente ritenere che l’umanità saprà trovare la giusta via.
Per vincere la sfida ambientale occorre delineare con urgenza nuovi parametri a livello globale e le Istituzioni mondiali stanno definendo al riguardo obiettivi sempre più ambiziosi.
Se non si prendesse alcun provvedimento per la riduzione delle emissioni di gas serra, da qui al 2030 queste potrebbero passare dagli attuali 3.200 Milioni di tonnellate a circa 4.700 Milioni (Europa +6%, Cina +136%, India +200%, USA +19%). Per contrastare tale andamento i Gruppi automobilistici saranno obbligati a ridurre le attuali emissioni medie del 23% al 2015 e del 39% al 2020.
Nell’ambito della COP 15 Copenhagen sono stati evidenziati alcuni punti chiave in termini di impegno ambientale, punti che, se applicati da tutti i Governi, determinerebbero una drastica riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti su strada. Un miglioramento della qualità della vita basato su una minor congestione veicolare ed un ridotto inquinamento atmosferico ed acustico si ottiene solamente armonizzando diverse soluzioni di mobilità. Il potenziamento del sistema dei trasporti pubblici (su ferro e su gomma) non può basarsi solamente su una generalizzata richiesta di maggiori risorse economiche peraltro esigue. Occorre dare priorità al trasporto pubblico coordinando le politiche di mobilità nelle singole aree metropolitane, puntando sulla tecnologia e l’intermodalità; non serve sottrarre spazio al trasporto privato per destinarlo a quello collettivo, quanto rendere quest’ultimo globalmente migliore nei tempi di percorrenza, di copertura geografica e frequenza del servizio; in altre parole dare efficienza ad un servizio il cui livello è oggi in Italia talmente basso da costituire il primo vero deterrente al noto «cambio modale» da più parti auspicato.
È necessario un nuovo approccio al veicolo con l’obiettivo di sviluppare soluzioni tecnologiche sostenibili economicamente e orientate al risparmio energetico: sistemi a bordo veicolo finalizzati a una guida più efficiente e al recupero dell’energia. Per quanto riguarda le Case automobilistiche occorre accelerare l’introduzione delle nuove tecnologie. Tutti i produttori sono concentrati sull’elettrico e hanno già pronti veicoli per il mercato: a fine 2010 si avrà il lancio dell’elettrica Citroën C-Zero, della Nissan LEAF e della Peugeot iOn.
Nonostante il punto critico degli elettrici sia – ad oggi – la ricarica, in tema di «scenario», tutti gli esperti concordano sul fatto che un’azione proattiva possa portare in vent’anni a una penetrazione di veicoli elettrici sino al 30% del mercato.
Nel 2011 la Peugeot commercializzerà la tanto attesa 3008 HYbrid4 che introduce l’ibrido a gasolio, mentre in Corea è già disponibile la Kia Forte LPI Hybrid, prima auto elettrica-GPL.
Non si deve però dimenticare che le previsioni dei più importanti analisti del settore automotive sottolineino come il mercato, ancora per lungo tempo, sarà dominato dalle trazioni convenzionali e, a questo proposito, va ricordato che entro la fine del 2011 saranno introdotti numerosi modelli Stop&Start e saranno resi disponibili a costi competitivi sistemi per la riduzione dei consumi e la conseguente contrazione delle emissioni in situazioni di utilizzo reale.
In questo contesto il metano può giocare un ruolo importante, insieme agli altri combustibili alternativi, anche perché può essere ricavato da fonti rinnovabili (bio-metano), fonti viste con grande favore nel dibattito europeo, grazie al contributo potenziale che possono dare nel miglioramento della sostenibilità dei trasporti. Una proiezione della Pike Research ipotizza che nel 2015 circoleranno al mondo 17 milioni di vetture a metano contro i 10 milioni del giugno 2009; questi dati, pur se ipotetici, sono comunque significativi e sono avvalorati dall’accelerazione della specifica attività estrattiva anche attraverso nuovi impianti realizzati worldwide, dalla Louisiana alla Lombardia.
È ovvio che tutto questo deve inserirsi in un quadro di collaborazione tra le industrie e le istituzioni in modo che si continui a sviluppare una filiera essenzialmente italiana che già oggi dà lavoro ad un numero rilevante di persone. In altre parole, sia in termini di competitività che per quanto attiene la conquista di quote di mercato, il coraggio di investire in capitale umano e in ricerca alla lunga paga.
Tony Colomba




































